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IL CULTO A PAVIA DI SANTA SINFOROSA MARTIRE
Scrisse nel 1699 il Padre Romualdo Ghisoni di S.ta Maria, nel suo corposo libro Flavia Papia Sacra:
(A Pavia), nella chiesa di Sant'Eusebio, erano le reliquie di Santa Sinforosa Martire, moglie di San Getulio, coi suoi sette figli: Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Stactèo ed Eugenio.
La loro Madre, sotto il regno di Adriano, per la sua invincibile fermezza, subì prima il taglio delle mani, poi fu appesa per i capelli e infine, legata a una pietra, fu gettata nel fiume, mentre i figli, appesi per le spalle a delle carrucole, ricevettero la palma del Martirio con diverso tipo di morte.
Sinforosa viveva nei pressi della maestosa villa dell’imperatore Adriano, colui che aveva ordinato la morte del marito Getulio, del cognato Amanzio e dell’amico di questi Primitivo.
L’imperatore Adriano, dopo aver ultimato la sua grandiosa villa, si dice che volesse, prima di inaugurarla, consultare gli dei, i quali gli dissero che la vedova Sinforosa e i suoi sette figli li “straziavano ogni giorno invocando il suo Dio, perciò, se Sinforosa e i suoi figli sacrificheranno per loro, essi faranno quanto l’imperatore gli chiedeva”. Adriano, allora, chiamò il prefetto Licinio e ordinò che Sinforosa fosse arrestata insieme ai suoi figli e condotta al tempio di Ercole.
Poi con lusinghe, minacce e ricatti, cercò di farla desistere e convincerla a sacrificare agli idoli, ma la Santa con animo nobile si appellava all’esempio di Getulio e degli altri compagni di martirio del marito. Visto che la donna non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore le rinnovò l'invito di sacrificare insieme ai suoi figli agli dei pagani, oppure sarebbero stati sacrificati essi stessi, ma la Santa fu irremovibile, come pure i suoi sette figli.
L’imperatore, visto vano ogni tentativo, ordinò che Santa Sinforosa fosse torturata a sangue, infine diede ordine alle guardie di legare un grosso sasso al collo di Sinforosa e di gettarla nel fiume Aniene, affinché annegasse. Poi venne la volta dei figli; furono presi da parte, e l’imperatore chiese a loro di sacrificare agli dei. Vista la resistenza dei ragazzi, ordinò che fossero condotti anch’essi al tempio di Ercole, dove con minacce e con lusinghe tentava condurli dalla sua parte; ma visto che non ci riusciva, né con le buone né con le cattive, l’imperatore ordinò che tutti e sette fossero posti alla tortura e infine fossero trafitti con la spada, poi li fece gettare in una fossa comune e profonda del territorio tiburtino, che i pontefici chiamarono “ai sette assassinati”.
BARONIO dice: «Siamo obbligati a ripetere ciò che spesso si trova detto da altri, ossia che le diverse parti d’uno stesso corpo, distribuite in diversi luoghi, hanno dato occasione a molti, qua e là, di ritenere d’essere in possesso dello stesso, identico corpo».
Molto si affermò questa pia usanza, sicché chi entrava in possesso di qualche reliquia del Corpo o delle ceneri di qualche Santo affermava d’avere il Corpo stesso.
In secondo luogo, per quanto attiene alla traslazione da un luogo a un altro, alcuni autori trattano del primo luogo e altri del secondo, sì che quando leggi gli antichi Martirologi trovi che i Corpi di Beda, Adone, Usuardo, Fiorentino, etc. e molti altri Corpi di Santi riposano a Roma o altrove, in determinati cimiteri, cripte e catacombe, mentre nelle cronologie di certe altre città apprenderai che hanno la tomba in luoghi diversi da quelli là indicati. Né peraltro alcuno degli Scrittori può essere accusato di menzogna, poiché ciascuno scrive con sincerità.
Dunque, ad esempio, quei Corpi di Santi che si trovano oggi a Pavia o a Milano sono proprio gli stessi che un tempo erano a Roma e, dissepolti colà, furono quindi traslati per essere venerati nelle suddette città. Da ciò nasceva in seguito l’opinione che essi potessero trovarsi in entrambi i luoghi o che alcuni Scrittori dessero per certe notizie false.
In terzo luogo, dai quadri e dalle iscrizioni rimasti nel luogo dopo la sottrazione dei SS. Corpi, che fanno credere che essi si trovino ancora lì, sebbene in realtà più non vi siano, sinché non si scopra l’ablazione. Così, ad esempio, a Roma, nel tempio di S. Michele, da una lamina di piombo o epitaffio, e pure a Tivoli nella chiesa di S. Pietro, da una vecchia iscrizione, si riferisce che siano conservati i Corpi dei SS. Getulio e Sinforosa coi loro figli, mentre in realtà Sinforosa e i figli sono custoditi a Pavia, nella chiesa di S. Eusebio, come è dichiarato da tutti gli scrittori pavesi, dai registri della chiesa, dalla successiva tradizione e dalla Visita Apostolica del 1576.
Il ricordo di Santa Sinforosa, nel calendario sacro, ricorre il giorno 18 luglio.
Santa Sinforosa, alla Cascina Campagna (foto Gabriele Arecchi).
Troviamo una bella immagine settecentesca di Santa Sinforosa, insieme alla Madonna del Rosario, fatta affrescare nel sec. XVIII nel cortile della Cascina Campagna, a un chilometro di distanza da Torre d’Isola, dai Francescani di SS. Gervasio e Protasio, chiesa privilegiata dai nobili Botta Adorno, dalla cui parrocchia dipendevano allora quei poderi.
La cascina passò poi in proprietà ai Sartirana, nel 1820, e appartiene ora alla famiglia Orlandi, che di recente (primi anni del 2000) ha fatto restaurare il bell’affresco.