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SETTANT’ANNI FA MORIVA IL PONTE COPERTO DI PAVIA
Il Ponte Coperto di Pavia, uno dei simboli storici della città, fu costruito nel 1351 da Giovanni da Ferrara e Jacopo da Gozo, sui ruderi d’un ponte di epoca romana; subì, nei secoli, restauri e aggiunte: la porta verso il Borgo Ticino, nel Cinquecento, la cappella di San Giovanni Nepomuceno nel Settecento, il portale dell’Amati, verso la città, nell’Ottocento. Era una di quelle costruzioni medievali, create da tecnici-artisti che non seguivano canoni di simmetria, ma erano riusciti a far nascere un’opera viva, bella e funzionale, che introduceva nel paesaggio una nota pittoresca.
L'antico Ponte coperto di Pavia (dipinto E. Acerbi).
Il ponte fu bombardato dagli aerei alleati nel settembre 1944. Danneggiato, ma non distrutto. Il Genio Civile pensò di cogliere l’occasione per demolirlo, poiché il ponte, costruito nel Medioevo, poneva un ostacolo notevole alle acque di piena. Gli ingegneri del Genio Civile avrebbero preferito un altro tipo di ponte, con pilastri più esili e luci più ampie. Avrebbero anche voluto smantellare il tetto del Ponte vecchio, che ostacolava il passaggio di veicoli con carichi ingombranti.
Da una parte, il Genio Civile e il Sindaco si adoperavano per fare il funerale al ponte ferito, dall’altra la Soprintendenza ai Monumenti, Italia Nostra e alcuni intellettuali di buona volontà (tra i quali il prof. Giovanni Vaccari, consigliere comunale) cercavano di risparmiare la vita all’antico monumento, in nome di un restauro che sembrava ancora possibile.
Il 13/7/1945, la Giunta Comunale, capeggiata dal sindaco Angelo Grassi, aveva deliberato che il ponte fosse ricostruito come era, perché “era e sarà unico nel suo genere”.
Intanto, l’Ufficio tecnico comunale scopre che due archi rimangono interrati, sotto il piazzale del Borgo Ticino. Questi archi sono ancora là, aspettano soltanto d’essere riportati alla luce.
Le pile erano state danneggiate dai bombardamenti, ma le perizie tecniche mostravano come si trattasse di danni cui si poteva ancora rimediare.
La demolizione del Ponte coperto di Pavia (foto E.C. Aschieri).
Nulla si fa… intanto, nel luglio 1946, l’Amministrazione Provinciale, capeggiata da Cornelio Fietta, si esprime per la demolizione del ponte e la sua sostituzione con un manufatto moderno (una “brutta copia”), appoggiando le idee del Provveditorato alle Opere Pubbliche. Ciò fa riaprire il dibattito anche in Consiglio Comunale, che però non esprime alcun parere deciso.
Nel settembre 1947, nulla ancora è stato fatto e il Comune sollecita ancora interventi dalle autorità statali. Al che, il Provveditorato alle Opere Pubbliche e il relativo Ministero esprimono con forza l’idea di demolire definitivamente il Ponte vecchio per costruirne uno nuovo.
Il nuovo sindaco di Pavia, Cornelio Fietta, afferma in assemblea che “il vecchio ponte non era un’opera d’arte, ma qualche cosa di pittoresco che era caro e soddisfaceva i nostri sentimenti. Ma dobbiamo essere uomini e guardare alla realtà delle cose, che si oppone ale realizzazione del nostro sogno…” L’architetto milanese Ferdinando Reggiori è già stato incaricato di progettare il “falso storico”. (16/10/1947)
Due Ministeri, l’uno contro l’altro: quello della Pubblica Istruzione chiede la conservazione e il restauro, mentre quello alle Opere Pubbliche vuole demolire e ricostruire il ponte.
La polemica prosegue, con toni anche aspri, sino a che nel febbraio del 1948 vincono la partita i demolitori e viene ordinata da definitiva morte dell’antico monumento.
Nel mese d’aprile, la demolizione è compiuta a colpi di dinamite. L’antico monumento, ferito dalla guerra, viene sconfitto e ucciso dai tecnocrati e dagli amministratori pubblici. Tenta ancora di resistere alla dinamite: pare che la demolizione della sua dura tempra sia costata di più di quanto non potesse costare il restauro dei suoi resti.
Si costruisce poi il falso del nuovo ponte che, se richiama il vecchio nelle sue forme generali, se ne discosta in ogni particolare:
- nell’ubicazione (una trentina di metri più a valle) e nell’orientamento ruotato, che obbliga a costruire un largo piazzale verso il Borgo Ticino per poter imboccare via dei Mille;
- nel numero delle arcate (cinque, più ampie, in luogo delle 6 1/2 visibili dell’antico ponte;
- nei materiali (gli archi sono realizzati in cemento armato, mentre quelli medievali erano in pietra e muratura di mattoni, con un profilo decisamente diverso).
I danni estetici maggiori si vedono nella “ricostruzione” della cappella, che diventa un freddo orpello in stile Novecento, in luogo dell’edificio sacro barocco-rococò del XVIII secolo.
Nulla da fare: nell’ottobre del 1947 il consiglio comunale, approva, quasi all’unanimità, la ricostruzione del falso storico del nuovo ponte, che viene approvata nel successivo aprile 1948 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Il Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti scriveva, nel 1948:
“Le strutture del nuovo ponte in cemento armato dovranno essere costosamente, quanto studiosamente mascherate da inutili rivestimenti lapidei e da una finta cortina muraria… Mentre si è rifiutata la possibilità di una qualsiasi moderna soluzione, che avrebbe potuto ripetere il tradizionale motivo del ponte coperto, la nuova costruzione, se verrà attuata, non solo dovrà essere considerata un falso artificioso e maldestro, ma purtroppo bisogna pur dirlo, addirittura come una parodia del vecchio tradizionale ponte pavese”.
Tra i sostenitori e fautori del nuovo ponte in stile imitativo, c’è anche il nuovo sindaco Carlo Milani, il quale nel gennaio 1949 presenta alla popolazione un modellino (plastico) dell’opera da realizzare. Il nuovo ponte viene costruito in due anni ed è inaugurato nel 1951.
L'ultima arcata, in mezzo alla corrente del fiume (foto E.C. Aschieri).
I critici sottolineano allora che si è voluto a tutti i costi demolire il ponte di Pavia, in gran parte ancora in piedi, mentre a Verona il ponte di Castelvecchio, completamente distrutto durante i bombardamenti, veniva ricostruito esattamente “com’era e dov’era”… un’altra Soprintendenza, un altro Sindaco, un’altra città…
Il falso storico, "inaugurato" dalle scene del film "Il cappotto", finisce col tempo per appassionare i nuovi pavesi, alcuni lo ritengono addirittura una meraviglia. Occorre tuttavia ripensare a ciò che era il ponte originale: un capolavoro di architettura “spontanea” e di arte paesaggistica, che per sei secoli aveva caratterizzato il profilo di Pavia sul Ticino.
Il ponte trecentesco di Pavia doveva avere, in tutto, dieci arcate.
Con la costruzione dei bastioni cinquecenteschi, ne erano rimaste in vista soltanto sei e mezza...
Esistono perciò ancora quattro arcate del vecchio Ponte coperto (di piccole dimensioni), due verso città e due verso il Borgo Ticino.
Si potrebbe progettare di tirar fuori e lasciare in mostra almeno le due in Borgo, cosa che può essere fatta senza danneggiare la circolazione e la viabilità (mentre le due da quest'altra parte sono state danneggiate dalla costruzione del collettore di fogna).
Ecco, segnata in rosso, la posizione delle arcate "sepolte" (due dal lato della città, due da quello del Borgo Ticino) e delle torri poste in origine alle due estremità del ponte.