Articoli
SANT'AMBROGIO A PAVIA E IL MAUSOLEO DI GRIMOALDO
A poche decine di metri dalla facciata di san Michele, lungo l’attuale via Capsoni, sorgeva la chiesa-mausoleo voluta per se stesso dal re longobardo Grimoaldo, colui che introdusse il culto dell’Arcangelo presso la classe militare longobarda, dopo la vittoria ottenuta contro i Bizantini sul Monte Gargano, quando era ancora Duca di Benevento (650).
L’affresco di San Teodoro con la veduta di Pavia (1522). T = San Tommaso, A = Sant’Ambrogio.
Poiché Grimoaldo è noto come restauratore del culto ariano, non è difficile leggere nella dedica a sant’Ambrogio, con cui tale chiesa era conosciuta, una volontà esaugurale, simile a quella che fece consacrare a sant’Eusebio l’antica cattedrale ariana. Potremmo perciò pensare che Grimoaldo dedicasse proprio a san Michele la chiesa da lui fondata. Un buon motivo per chiamare ‘maggiore’ un’altra chiesa, consacrata a san Michele, più ampia della prima e quasi adiacente ad essa.
La pianta di Pavia del Ballada (1654).
14 = San Michele, 101 = Sant’Ambrogio, 107 = Le Salere, 109 = S.M.Maddalena dei Tacconi.
Scrisse Paolo Diacono (HL, 4, 42) che nel sec. VII ciascuno dei due culti, ariano ed ortodosso, aveva una propria cattedrale, a Pavia e in altre città del regno longobardo. Nessun documento ufficiale ricorda però a quali santi fosse consacrata la cattedrale ariana durante il suo splendore. Gli ultimi esponenti del clero ariano a Pavia furono epurati solo alla fine del sec. VIII, dopo la sconfitta di re Desiderio da parte di Carlo Magno.
Dopo la sconfitta dell’eresia ariana, si ritenne opportuno cancellare tale capitolo di storia, con l’oblio sistematico di un’epoca che si voleva dimenticare e con l’attribuzione all’antica cattedrale ariana del titolo di sant’Eusebio, per motivi esaugurali, ossia in segno di spregio per gli Ariani sconfitti. I vescovi Ambrogio di Milano ed Eusebio di Vercelli erano stati i principali oppositori dell’eresia di Ario. Il cambio di dedica dell’antica cattedrale degli Ariani sancì tutto il peso della loro sconfitta. Non solo: la Chiesa pavese fece di tutto per distruggere quel lungo capitolo di Arianesimo “di ritorno” che l’aveva contraddistinta e che - tuttavia - aveva garantito un’autonomia totale della sede episcopale locale. Si voleva cancellare dalla storia la stessa memoria dei fatti, per ridurre l’importanza che i vinti avevano avuto nella vita civile e religiosa della città, ma si ambiva a mantenere i privilegi acquisiti. Si volle attribuire l’importanza dei vescovi pavesi ad un’ipotetica, inventata primogenitura della Chiesa pavese rispetto alla Cattedra vescovile di Milano, da dove sant’Ambrogio tanto si era adoperato per combattere e reprimere proprio l’eresia ariana. In particolare dopo il Concilio di Trento, gli storici locali s’impegnarono per ricostruire una verginità intatta e amorfa, in luogo della combattuta e viva storia della città che era stata sede del regno.
L’aspetto attuale dei luoghi (via Capsoni) e una ricostruzione con la facciata di Sant’Ambrogio, desunta da un disegno del 1837.
Non esistevano già più: il campanile, il tiburio e gran parte della navata laterale sinistra.
La chiesa di Sant’Ambrogio fu alienata e poi demolita nel 1837. Da questa chiesa proviene la statua di Sant'Ambrogio che il Card. Riboldi collocò sul pianerottolo dello scalone del Palazzo Vescovile.
Come scrisse il Capsoni (p. 286): "La chiesa aveva la facciata volta a ponente. Era di tre navi, determinate da colonne laterizie, ed aveva sei cappelle laterali. Ascendevasi al presbiterio per alcuni gradini e il pavimento era di livello inferiore al piano della piazza e della strada. Nel 1640 però, in occasione del rinnovamento del pavimento, il piano della chiesa fu innalzato e portato al livello della piazza. La fine della chiesa fu determinata dalla disposizione 15 luglio 1784 sulle Opere Pie, di Giuseppe II d'Austria".
Nel 1786 la chiesa fu profanata, poi fu in parte distrutta, in parte ridotta ad abitazione privata.
Oggi rimangono in loco poche tracce della sua architettura, ma un pilastro è ancora visibile nell’angolo dell’edificio, tra la piazzetta e via Capsoni, e all'interno dei locali si riconosce il giro di un'abside, marcato dal percorso di una scaletta che scende.