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PAVIA - LA PIA LEGGENDA DEL SACRO PREPUZIO
Narrano antiche cronache che il gentiluomo pavese Piciarlin de Canibus, ghibellino, fu allontanato dalla città e dovette partire per l'esilio, dopo una dolorosa sconfitta subita dal suo partito, nell'autunno del 1281, quando Pavia cadde nelle mani dei Guelfi, durante la lunga sequenza di scaramucce violente e sanguinose che opposero da sempre, in questa città, i due partiti rivali.
Piciarlin partì di notte, imbacuccato nel suo tabarro, scortato da sei fidati compagni. Dopo lunghe girovagazioni per le montagne del Monferrato e delle Langhe, varcò la catena alpina e si rifugiò nelle Alpi di Provenza, dalle parti di Vaucluse. Qui trascorse in incognito circa tre anni, prima di ritornare in patria.
Durante quel periodo, Piciarlin e i suoi compari vissero di espedienti. Non contenti, si impadronirono di tre preziosissime reliquie che colà erano custodite e venerate dalla religiosità popolare: il Sacro Prepuzio di Gesù Bambino, una mammella e le pezze mestruali di Santa Maria Maddalena.
Tutte le presunte reliquie del Sacro Prepuzio erano molto rinomate, nel corso del Medioevo europeo, tanto che più d'una decina di località si vantavano di possederla. C'è chi ne ha contate addirittura 19, per cui - con la reliquia di Pavia, oggi scomparsa, arriveremmo a venti prepuzi.
Piciarlin ritornò a Pavia in un periodo ancora torbido, in cui il partito dei Ghibellini lottava quotidianamente contro i Ghelfi, capeggiati dai conti di Langosco. Mise in salvo le reliquie portate dalla Provenza, in una cripta segreta di un monastero di monache non più esistente, dedicato a Santa Maria degli Angeli, che sorgeva là dove ora c'è la sede dell'INPS. Questa cripta sotterranea fu ritrovata e irrimediabilmente distrutta, all'epoca della costruzione del palazzo attuale.
La reliquia del teschio di Maria Maddalena, in Provenza.
Era l'epoca in cui arrivavano (o si fabbricavano) a Pavia anche le spoglie del presunto san Guniforto, un principe di Scozia venuto qui a morire in aura di martirio (vi raccontiamo la sua storia in altro luogo) e la testa del drago di san Giorgio, un capolavoro di chirurgia veterinaria che fondeva parti di vari animali per costruire una gran testa mostruosa.
Parecchi anni dopo, in una Pavia conquistata dai Visconti, saldamente in mano alla parte ghibellina e più volte scomunicata dai Papi, fu un altro Piciarlin, discendente ed erede dell'antico capostipite de Canibus, a interessarsi alle reliquie. Riuscì a ritrovarle, nell'apocalittica confusione che regnava in quella cripta, e fece dono alle monache di Santa Maria Maddalena delle reliquie della loro protettrice.
Al n. 69, la chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, che sorgeva sull'angolo delle attuali scuole elementari G. Carducci, in corso Cavour. Questo piccolo monastero fu soppresso nel 1785.
Al n. 109, nella stessa mappa, la chiesetta di Santa Maria Maddalena de' Tacconi, detta anche "della Scaletta", lungo l'attuale via Paolo Diacono, angolo vicolo dei Longobardi. Fu distrutta nel 1840.
Le due immagini sono tratte dalla Mappa del Ballada, 1654.
Il De Canibus conservò il Sacro Prepuzio per sé e la sua famiglia. La leggenda infatti voleva che il possesso di tale reliquia garantisse alla famiglia la perpetua fertilità e la generazione di eredi maschi, capaci di perpetuare le glorie del casato. Così fu infatti per diversi secoli, sino ai giorni nostri.
Il Sacro Prepuzio era ben conservato nello scrigno della famiglia, in una ricca abitazione dei quartieri occidentali della città.
Piciarlin de Canibus fu assunto a una delle più alte cariche del Ducato: era infatti consigliere segreto del Duca Gian Galeazzo Visconti, che si apprestava a cingere la corona di re d'Italia.
Fu la peste, nel 1402, che stroncò improvvisamente la vita del Duca e la carriera di Piciarlin.
Il 25 agosto 1402, Gian Galeazzo, gravemente malato, nel Castello di Melegnano, volle rivedere il proprio testamento e convocò il notaio pavese Giovanni Oliva. Stabilì i criteri di divisione dei beni fra gli eredi, e volle che le parti del suo corpo fossere divise fra diversi luoghi sacri.
Gian Galeazzo Visconti, in una incisione d'epoca.
Già nel testamento steso nel 1397 egli aveva disposto che il suo corpo fosse sepolto nella Certosa da lui fondata, in un ricco mausoleo, eccetto il cuore, destinato alla basilica di San Michele in Pavia, e le viscere alla chiesa di S. Antonio in Vienne di Francia (conosciuto anche come "Sant'Antonio del Porcello", perché i monaci del suo ordine allevavano maialini per usarne il lardo a lenire le piaghe dell'Herpes).
Che cosa accadde realmente, in quella tragica notte del 1402?
Siamo convinti che Piciarlin fosse partito da Pavia col notaio, per recarsi al capezzale del suo Signore, ormai agonizzante a causa della peste, e che portasse con sé il Sacro Prepuzio, nella speranza che le sue proprietà taumaturgiche potessero aiutarlo a risanare Gian Galeazzo.
La guarigione non vi fu, e il 3 settembre il Duca Gian Galeazzo morì.
Gian Galeazzo rimase insepolto nel Castello di Melegnano, per alcuni giorni, durante i quali la notizia della sua morte era stata tenuta nascosta, poi il suo cadavere fu portato all'Abbazia di Viboldone, nel territorio di Milano.
Le ulteriori vicende della salma del primo duca di Milano non sono molto chiare.
I solenni funerali, celebrati in Milano il 20 ottobre 1402, erano stati compiuti senza la presenza del cadavere, che era sepolto a Viboldone, e che solo più tardi venne trasportato a Pavia, nella Basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro.
In questa basilica il cadavere di Gian Galeazzo rimase sino al 1474, quando Galeazzo Maria Sforza si decise a sollecitare l'esaudimento dell'ultima volontà del suo predecessore.
Infatti i lavori della Certosa erano ormai giunti a tal punto, da permettere che vi si trasportasse il corpo del fondatore.
Con il corpo di Gian Galeazzo pare fosse rimasta anche la reliquia del Sacro Prepuzio, lasciata oltre settant'anni prima da Piciarlin de Canibus.
Non sappiamo dove sia finita in seguito, ma il suo ritrovamento sarebbe una grande scoperta per gli appassionati della storia di Pavia.
Tuttavia, un documento dell'Archivio segreto degli Sforza, recentemente ritrovato e studiato, afferma che la reliquia andò irrimediabilmente perduta, pochi anni dopo la fine di Gian Galeazzo, quando due cerusici, il busgnacco (bosniaco) Piet Molla e il padovano Felice Pompin, vollero esaminarla.
I due medici ruppero la fiala che conteneva il prepuzio, e il pezzetto di pelle si polverizzò. Il Pompin ebbe appena il tempo d'assaggiarlo, per affermare che aveva un gusto salato. Da allora, si ebbe il soprannome di "Ciucia Prepusi".
Poi, il Sacro Prepuzio fu sostituito da un pezzetto di pelle qualsiasi, per non interrompere l'antica tradizione.