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PAVIA IN UN ATLANTE ARABO MEDIOEVALE
Nel 1154 Pavia era la capitale del Regno italico e la corte si apprestava all’incoronazione di Federico Barbarossa nella Basilica di San Michele, recentemente ricostruita (l’incoronazione fu celebrata nel maggio dell’anno successivo). In quell’anno, a Palermo, alla corte del re normanno Ruggero II, un geografo arabo scriveva un importante testo di geografia, corredato di carte che raffiguravano il globo terrestre, sulla base delle conoscenze degli scienziati e dei navigatori dell’epoca.
In quelle carte, disegnate secondo l’uso del tempo con il Nord verso l’alto, sono ben profilate le coste, si vedono i corsi dei fiumi (tra i quali il Po e il Ticino), figurano la città di Pavia (babiah) appare raffigurata, con Tortona, Savona e Genova, Mantova e Gamendio in Lomellina.
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Non vi appare invece — ad esempio — Milano.
L’autore di quel testo di geografia fu il celebre Al Idrisi, noto anche col nome di Edrisi. Il suo nome completo era: Abu Abdallah Mohammed ben Mohammed al Idrisi. Egli scrisse nel 1154 il Kitaab Nu-hat al mushtakf iktiraq al afaq ("Libro dell’uomo avido di conoscere gli orizzonti", noto anche come "Il libro di Re Ruggero"). (1)
Le concezioni generali dei geografi arabi si allontanavano di poco dalle dottrine degli antichi geografi alessandrini.
"La terra con le sue acque — scrive Al Idrisi, al principio della sua trattazione — è immersa nello spazio, come il tuorlo nell’uovo; l’aria la circonda d’ogni parte, e attira a sé tutto ciò che è leggero, mentre la terra attira a sé tutto ciò che è pesante, come la calamita attira il ferro.
Il globo terrestre è diviso in due parti uguali dalla linea equinoziale, il maggior cerchio parallelo sulla superficie terrestre. Questo cerchio si divide in 360 gradi, ciascuno di 25 parasanghe (corrispondenti alle leghe europee). La parasanga è di 12.000 cubiti, il cubito comprende 24 dita; il dito corrisponde a sei grani d’orzo allineati".
Il testo della Geografia di un altro geografo arabo, Abu’l Fida, porta in intestazione cinque versi: "La posta si compone di quattro parasanghe, e la parasanga di tre miglia. — Il miglio si compone di mille braccia, e il braccio di quattro cubiti. — Il cubito è di ventiquattro dita, e il dito si compone — Di sette grani accostati l’uno all’altro. — Il grano equivale a sette peli di mulo. E tutto ciò con ammette contraddizioni".
Proseguiamo la lettura di Al Idrisi: "I meridiani, dall’equatore al polo, si dividono in 90 gradi; le terre abitabili, a Nord, finiscono al 64°; il resto è deserto, a causa del freddo e delle nevi. A sud dell’equatore, non vi sono esseri viventi, a causa del calore, che asciuga le acque".
Metà del globo è coperta dall’oceano, che lo circonda senza interruzione.
La terra abitabile comprende sette "climi" separati da linee, segnate come paralleli. Ogni clima si divide in dieci sezioni, da Occidente ad Oriente. Così i climi corrispondono a divisioni in latitudine, e le sezioni a divisioni in longitudine, per cerchi meridiani. Il primo clima comprende le contrade poste subito a nord dell’equatore. Nel quinto clima, la prima sezione comprende l’Andalusia (nome della Spagna musulmana), e alla seconda sezione si trova la Sicilia con l’Italia.
Si sa che gli antichi geografi davano il nome di "climi" a zone parallele comprese tra l’equatore e il polo, distinte tra loro per la lunghezza del giorno nel solstizio d’estate. Gli Arabi hanno adottato la parola senza mantenerne l’esatto significato. Vediamo che cosa dice a proposito un altro geografo arabo YAQÛT, nei Prolegomeni del suo Dizionario geografico: "Tra l’equatore e il polo Nord, la terra si divide in sette climi. Non c’è accordo sul valore di questa parola. Alcuni dicono che i sette climi si stendono al Nord e al Mezzogiorno; altri, soltanto al Nord. Hermes pretende che il Mezzogiorno contenga anch’esso sette climi, come il Nord, il che non sembra dimostrato. La maggior parte credono che i sette climi si applichino solamente al Nord, che è molto abitato, mentre il Mezzogiorno lo è molto poco. Si dice che la parola sia araba e derivi dal verbo qalam, tosare, il cui significato primitivo era "tagliare", e il qalam o canna per scrivere si chiama così perché ogni tanto occorre tagliarla, ecc."
(1) Ed. critica: AL IDRISI, Opus Geographicum, a cura di A. Bombacci, V. Rizzitano, R. Rubinacci e L.V. Vaglieri, Napoli e Roma, 1970.