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PATRIZIA SHOW
un progetto di Alvar Aalto per la Pavia degli anni '60* Gli autori, architetti, sono stati collaboratori di Giovanni Astengo e Giuseppe Campos Venuti nell'elaborazione del PRG di Pavia degli anni '70.
L'architetto Vittorio Prina ha scritto un libro per analizzare il progetto “abortito” di Patrizia, il quartiere firmato negli anni Sessanta da Alvar Aalto per Pavia. Un’analisi certamente attesa, per completare l’esame delle opere del grande architetto finlandese.
La maquettedel progetto Patrizia, nella zona di San Lanfranco (Pavia Ovest).
È passato parecchio tempo, ma la polemica sul quartiere Patrizia infiammò la città per anni. Ricordiamo che nel 1969 – due di noi giovani architetti, il terzo era uno studente laureando – esprimemmo tutti molte “perplessità” su un progetto che, ancorché bello, contribuiva ad addensare il cemento sul territorio, e sono perplessità che manteniamo inalterate. Il problema del consumo inconsulto di territorio per nuove edificazioni non è stato superato, anzi si è aggravato negli ultimi decenni, e non è certo questa la strada per “creare occupazione” o per uscire dalla crisi… anzi!
La proposta, fatta negli anni Sessanta, di creare un quartiere satellite autosufficiente a ovest di Pavia, vicino a San Lanfranco, era comprensibile soltanto nel quadro di interventi a scala più ampia di quella cittadina, di scelte di portata regionale. 11.207 abitanti, secondo la relazione del progetto (ma, secondo altri calcoli, il quartiere aveva una potenzialità di almeno 14.000 abitanti; e molti di più se si facessero monocamere per studenti). Dove si andava a prendere 10.000-15.000 nuovi abitanti, in grado di pagare i costi di un quartiere bene attrezzato, di iniziativa privata, firmato dal grande architetto Alvar Aalto? È naturale: Patrizia non era concepita tanto come una parte di Pavia, quanto come un quartiere residenziale di decentramento per Milano.
Il progetto, elaborato in gran segreto, venne alla luce perché apparve pubblicato sulla rivista “Parametro”, prima che la proprietà ottenesse la necessaria variante al Piano Regolatore.
«I fautori di Patrizia sono molti, più occulti che palesi, che chiudendo gli occhi, ed evitando ogni plauso ed ogni critica, fanno andare le cose avanti, in silenzio». Così scriveva allora la stampa progressista.
Gli oppositori invece erano pochi, e meno ancora sono i sopravvissuti, di loro. Ta loro ricordiamo il Collegio degli architetti (sezione staccata di Pavia) e Italia Nostra. I giovani repubblicani furono estromessi dal partito, Massimo Pinchera uscì dal PCI: solo la sinistra del PSI ne fu rafforzata.
Al sindaco Vaccari era stato promesso che a Patrizia ci sarebbero state anche le case popolari, perché tutti potessero godere le gioie della “Pavia del futuro”, ma iI progetto di variante urbanistica andò al Ministero senza il voto del Consiglio comunale: tutti estremisti, nel Consiglio comunale di Pavia? Ma quando? Evidentemente, le perplessità erano diffuse.
Era convinzione condivisa che una forte espansione di Pavia verso ovest avrebbe serrato definitivamente la tenaglia per attuare un’espansione “a macchia d’olio”, soffocando la città da tutte le parti. Si sarebbe completata la corona di quartieri da tutte le parti del Centro Storico.
L’espansione di Pavia in direzione est e nord-est era già stata attuata; soprattutto nel corso degli anni Cinquanta; ed era un’espansione sfrangiata, priva di consistenza, ancorché numerosa per popolazione. Il quartiere Patrizia era previsto a ovest, a tre chilometri di distanza dalla città allora edificata, e il Piano Regolatore prevedeva l’edificabilità delle aree comprese tra il progetto di Aalto e il Centro storico. La città satellite, che si presentava come fosse immersa nel verde, avrebbe finito per diventare un quartiere racchiuso fra le altre lottizzazioni circostanti, completando il disegno di una “macchia d’olio”, che si poteva espandere in tutte le direzioni.
Nel 1967, la “legge ponte” (Variante alla legge urbanistica nazionale, legge n. 765) aveva imposto l’obbligo per i costruttori di prevedere, e di pagare, gran parte dei servizi necessari ad una vita civile (non solo strade, fognature acqua e luce elettrica, ma anche scuole, parcheggi, verde e centri civici). Tali opere di urbanizzazione erano previste dal progetto di Aalto per gli abitanti del suo quartiere, ma erano fortemente carenti nel resto della città.
Il nuovo Piano Regolatore, elaborato dagli urbanisti Astengo e Campos Venuti e approvato, negli anni Settanta, dalla Giunta comunale presieduta da Elio Veltri, ebbe il merito di riequilibrare le dotazioni di servizi per tutta la città, con la logica prioritaria di salvaguardare le aree necessarie per i servizi per tutti i cittadini. Per questo motivo, il nuovo Piano regolatore di Pavia fu additato a esempio e fu mandato dal governo italiano all'assemblea dell'Habitat dell'ONU a Vancouver nel 1976, come modello della nuova urbanistica italiana. Il ministro degli esteri era Mariano Rumor e quello dei lavori pubblici Gullotti, che parrebbe strano voler qualificare come “estremisti di sinistra”. Il Comitato scientifico che curò gli elaborati da inviare era presieduto da Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, e ne facevano parte tra gli altri: Susanna Agnelli, Paolo Barile, Francesco Compagna, Umberto Eco, Ludovico Quaroni, Bruno Zevi.
Oggi quel Piano Regolatore è studiato nelle scuole come una pietra miliare di quel momento dell’urbanistica italiana.
Il miraggio dei “quartieri autosufficienti” era quello di poter trasformare la città in tante piccole unità residenziali immerse nel verde, lontane l’una dall’altra, senza odori né fumi di fabbriche. Con le previsioni del vecchio Piano Regolatore di Pavia, però, la lottizzazione “Patrizia” non poteva rimanere un quartiere isolato e autosufficiente, annegato nel verde della Valle del Ticino, ma coinvolgeva una variante urbanistica su un’area privata, che il Piano Regolatore dell’epoca prevedeva di avvolgere e annegare con altri quartieri di edilizia residenziale, in un magma di cemento che avrebbe potuto portare la città a superare due, forse trecentomila abitanti!
Si trattava del legittimo tentativo di un imprenditore edile di monopolizzare il mercato immobiliare per almeno un decennio, poiché le potenzialità di oltre diecimila nuovi abitanti avrebbero spostato decisamente verso San Lanfranco i pesi dell’espansione urbana.
Inserimento del progetto su una foto zenitale attuale, presa da Google Earth.
E’ stato un peccato che a Pavia non sia stato realizzato un quartiere residenziale con la firma di Alvar Aalto? Forse è possibile, ancorché tutto da dimostrare, se ci si muove nel campo delle remote possibilità: se il quartiere fosse stato realizzato… se nessuno intorno ad esso avesse aggiunto altre edificazioni… se la città si fosse sviluppata diversamente… non è certo storicamente possibile ragionare in questo modo. Ma soprattutto: perché mai qualcuno vorrebbe attribuire la responsabilità delle “corte vedute” proprio a chi riuscì, tra grandi contrasti, a salvare la città dalla cementificazione galoppante (che purtroppo è ridiventato un problema assillante) e ne fece per un momento un esempio di fronte all’urbanistica italiana?