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IL CAVALLO DI LEONARDO
Nascita di un monumento
Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, pensò di celebrare la figura e le imprese del padre Francesco Sforza con una statua equestre in bronzo, in grandezza naturale, da collocare all'interno del Castello Sforzesco, o nel rivellino verso la piazza.
Nel 1473 diede quindi incarico al funzionario ducale Bartolomeo da Cremona di cercare artisti capaci di realizzare l'opera. Bartolomeo contattò il figlio di Maffeo da Civate ed i fratelli Mantegazza, ma né l'uno né gli altri erano fonditori esperti e proposero il primo di realizzare la statua in rame martellato e dorato, i secondi in ottone, anch'esso dorato. Galeazzo sollecitò ulteriori informazioni, ma si finì per non farne nulla, probabilmente perché le soluzioni tecniche proposte non apparivano soddisfacenti.
Il duca morì improvvisamente tre anni dopo e l'idea fu ripresa dal fratello Ludovico il Moro, nei primi anni del suo governo. Nel 1484 i protocolli medicei registrano due lettere, oggi perdute, inviate da Lorenzo il Magnifico in risposta alle richieste di artisti avanzate dal Moro. È probabile che il Magnifico cercasse di venire incontro alla richiesta del signore milanese e consultasse diversi artisti, fra i quali sicuramente Antonio del Pollaiolo. Suoi sono infatti due disegni che la critica, concorde, mette in relazione con il monumento Sforza. Il coinvolgimento di Pollaiolo nel progetto, tuttavia, finì qui, perché nello stesso 1484 egli partì per Roma per realizzare la tomba di papa Sisto IV.
La commessa passò allora a Leonardo da Vinci, che si trovava a Milano già dal 1482 e aveva manifestato il proprio interesse a lavorare al progetto, come dimostra una lettera, di solito datata al 1483, nella quale, offrendo i propri servigi al Moro, si dichiarava in grado di "dare opera al cavallo di bronzo". Negli anni seguenti l'artista si dedicò ad approfondire lo studio di cavalli dal vivo, eseguendo meravigliosi disegni. Impossibile dire a quale stadio del lavoro fosse giunto nel 1489, quando l'ambasciatore fiorentino a Milano, Pietro Alamanni, scrisse a Lorenzo, su incarico dello Sforza, per richiedere l'invio di "uno maestro o dua, apti a tale opera", precisando che la commessa per "uno grandissimo cavallo di bronzo, suvi il Duca Francesco armato" era stata affidata a Leonardo, ma avanzando il sospetto che il Moro nutra dubbi sulla capacità dell'artista di portare l'opera a compimento.
Le parole dell'ambasciatore sono in realtà poco chiare e autorizzano ipotesi diverse: o Leonardo, occupato anche da altri interessi, non aveva prodotto niente di concreto o di convincente e Ludovico cercava possibili sostituti; oppure l'opera era a buon punto e il Moro, temendo che Leonardo non riuscisse a condurre a termine da solo il difficile lavoro di fusione, pensava di procurargli degli aiuti. Che vi sia stata un'interruzione nell'impegno dell'artista è indubbio, come conferma una sua annotazione sul codice C: "A dì 23 d'aprile 1490 cominciai questo libro e ricominciai il cavallo".
La ripresa dei lavori coincide con un mutamento di programma iconografico, che comporta fra l'altro un forte ingrandimento delle dimensioni della statua. Un cavallo di bronzo alto otto metri, del peso di 70 tonnellate. Tali dimensioni rendono difficile pensare che la sua collocazione possa essere ancora il rivellino del Castello Sforzesco. Un decreto ducale del 1492, con cui il Moro progetta di aprire una vasta piazza davanti al Castello, fa supporre che proprio questa dovesse diventare lo scenario definitivo del monumento. Dal 1490 in poi il lavoro di Leonardo prosegue alacremente e tra il 1491 e il 1493, il modello è pronto e visibile nel suo laboratorio di Corte Vecchia, l'ex palazzo ducale presso il Duomo. Lì sicuramente si trova nel 1493, quando si celebra il matrimonio fra Bianca Maria Sforza e Massimiliano d'Asburgo.
Leonardo, tuttavia, non riuscirà mai ad arrivare alla fusione. Nel 1494 i francesi di Carlo VIII scendono in Italia, ed una enorme quantità di bronzo, pari a poco meno di 160.000 libbre (circa 70 tonnellate), che sarebbe dovuto servire alla realizzazione del monumento, viene invece mandata a Ferrara al duca Ercole d'Este per fabbricare cannoni. Il bronzo non sarà più reintegrato, a causa dei problemi finanziari del Moro, che, per sostenere la spedizione del re francese e pagare l'acquisizione del titolo ducale, ha finito per coprirsi di debiti.
Leonardo tuttavia non abbandona il progetto e, secondo una suggestiva ipotesi di Pedretti, fra 1495 e 1497 trasferisce modello e forma di fusione dal laboratorio di Corte Vecchia ad una vigna di sua proprietà, nei pressi di Santa Maria delle Grazie, dove pensa probabilmente di sistemare la fonderia.
Le speranze di portare a termine l'opera svaniscono però del tutto nel 1499, con la caduta del Moro. Il 9 e 10 settembre, quando Ludovico è già fuggito da Milano, un'avanguardia delle milizie francesi di Luigi XII entra in Milano da Porta Vercellina e si accampa nei paraggi di San Vittore al Corpo. La vigna di Leonardo è poco lontana e l'enorme modello, ben visibile a così breve distanza, deve costituire un’irresistibile tentazione per i balestrieri guasconi che se ne servono come bersaglio, danneggiandolo e forse distruggendolo. Si salva invece la forma, che giace in completo abbandono, finché nel 1501 viene fatta richiedere da Ercole d'Este, intenzionato a riutilizzarla nella fusione di un monumento equestre a Ferrara. Non pare però che la sua richiesta sia stata accolta. Da quel momento della forma non si ha più notizia.
Leonardo lascia Milano nel dicembre 1499, avendo senz'altro visto lo scempio del modello, e questo ricordo forse non è estraneo alla lapidaria e celebre frase con cui commenta la fine della fortuna del Moro: "Il Duca perso lo Stato e la roba e libertà, e nessuna sua opera si finì per lui".
La sfida della fusione
La questione più complessa era la tecnica di fusione, di cui Leonardo si occupò a più riprese, lasciandone testimonianza in numerosi appunti, nei fogli di Windsor e nel secondo codice di Madrid. Gli studi si concentrano negli anni 1491–1494, quando egli cambia programma e concepisce un progetto di dimensioni abnormi, che esasperano i problemi legati alla fusione in bronzo.
Di tali problemi egli è perfettamente a conoscenza, essendo stato allievo di Verrocchio, uno dei maggiori fonditori in bronzo dell'epoca, dal quale aveva appreso la tecnica della fusione a cera persa, risalente all'età classica e riportata in auge nel Quattrocento, nel quadro di una più generale tendenza all'imitazione dell'antico.
Essa prevede la realizzazione di un'anima in terra refrattaria, cioè resistente alle alte temperature, sbozzata sommariamente e ricoperta di uno strato di cera, poi modellato fino ad assumere l'aspetto definitivo della statua. Il modello così realizzato viene racchiuso in una cappa, anch'essa in terra refrattaria, in cui sono predisposti i canali di colata. Il tutto, detto in gergo forma, viene calato nella fossa di fusione per la cottura, che ha la doppia funzione di asciugare e solidificare l'argilla e di sciogliere la cera la quale, fuoriuscendo, lascia fra l'anima e la cappa un’intercapedine, destinata a venire occupata dal bronzo. A questo punto si può procedere alla colata vera e propria, cui seguono l'eliminazione della forma e i lavori di rifinitura.
Questa tecnica presenta tuttavia una serie d'inconvenienti, difficili da affrontare. L'irregolarità dello spessore della cera, dovuta al fatto che l'anima sottostante è sbozzata solo in modo sommario, rende a sua volta irregolare lo spessore del bronzo, con la doppia conseguenza di dover impiegare più metallo di quanto sarebbe in effetti necessario e di non poterne calcolare in anticipo la quantità occorrente, a rischio di non riuscire a concludere la colata.
Per Leonardo, che ha bisogno di alleggerire il più possibile il peso della statua, è invece essenziale ottenere un spessore del bronzo ridotto al minimo e uniforme. La tecnica della fusione a cera persa non è quindi adeguata allo scopo e l'artista, riprendendo una variante già in uso per la realizzazione di rilievi ma non ancora adottata nella statuaria a tutto tondo, elabora un procedimento nuovo, che verrà poi teorizzato da Vasari e che nelle sue linee essenziali continua ad essere impiegato ancora oggi.
Tale procedimento prevede innanzitutto la realizzazione di un modello d’argilla identico alla scultura finita. Del modello viene effettuato un calco in gesso che, per poter essere staccato dall'originale senza rompersi, è realizzato in un gran numero di pezzi (tasselli), ciascuno contrassegnato, così da poterli poi riaccostare nel giusto ordine. Il calco viene quindi ricomposto in due metà, all'interno delle quali si stende uno strato uniforme di una sostanza malleabile – ad esempio cera – che Leonardo chiama grossezza. All'interno del calco, in modo da riprenderne esattamente la forma, viene realizzata in materiale refrattario l'anima (o maschio), rinforzata con strutture metalliche di sostegno. A questo punto, le due metà del calco vengono chiuse sul maschio dopo aver tolto la grossezza e, nello spazio lasciato vuoto da quest'ultima, si procede a colare della cera. Eliminato anche il calco, la superficie della cera viene lisciata e rifinita e infine ricoperta con la cappa di fusione. La forma così ottenuta può ora esser calata nella fossa, pronta per la cottura e la colata.
Con questa tecnica, più sofisticata e complessa di quella tradizionale, Leonardo raggiunge gli obiettivi che si è proposto: il controllo puntuale dello spessore del bronzo, garantito grazie all'utilizzo della grossezza, e la possibilità di calcolare, mediante un preciso rapporto fra unità di peso della grossezza e unità di peso del bronzo, la quantità di metallo necessaria alla fusione.
Tratto dal Cap. 5 de "Un Cavallo per il Duca"
Anthelios Editore
Il problema della colata
Risolto il problema della forma, Leonardo deve affrontare quello della colata, per la quale decide di procedere con un getto solo, salvo forse la coda, la cui complessità di realizzazione sembra suggerire una fusione a parte.
La fusione in getto comincia a diffondersi nel Quattrocento, contrapponendosi a quella tradizionale in parti separate e poi saldate assieme e rifinite, rispetto alla quale risulta di assai più complessa realizzazione. Del resto, proprio le difficoltà tecniche, oltre alla resa estetica, sembrano fare di essa una sorta di ideale con cui gli artisti rinascimentali sono indotti a misurarsi ed è probabilmente per questo che Leonardo si ostina a tentarla, nonostante tali difficoltà siano ingigantite oltre misura dall'enorme mole del monumento.
I maggiori ostacoli derivano dalla scelta della tecnica di fusione e della necessità di mantenere l'enorme quantità di metallo a temperatura costante nel corso della colata. Riguardo al primo problema, Leonardo studia due possibili alternative: fondere in verticale, collocando la forma rovesciata, con la testa del cavallo in basso e gli zoccoli in alto, oppure fondere in orizzontale, collocando la forma a giacere sul fianco.
Entrambe le soluzioni presentano difficoltà di cui egli è ben consapevole. Una fusione in verticale richiederebbe una fossa profondissima che finirebbe per toccare la falda freatica, con un'umidità dannosa per la fusione e difficilmente eliminabile. Inoltre Leonardo teme che le zampe, che devono essere gettate piene, possano sfondare le altre parti, realizzate cave.
Una fusione in orizzontale, invece, rischierebbe di comportare un raffreddamento non uniforme del metallo, ostacolandone quindi la distribuzione.
Complica ulteriormente le cose il secondo problema, ossia la necessità di garantire al bronzo una temperatura costante durante tutta la colata. Date le dimensioni della statua, esso non è risolvibile con una sola fornace; Leonardo progetta di attivarne diverse contemporaneamente, ma la loro dislocazione crea ulteriori difficoltà.
Collocarle tutte a livello del terreno sarebbe la soluzione più naturale ma, se può andare bene nel caso di fusione in orizzontale, diventa improponibile qualora si decida di fondere in verticale, poiché il bronzo, dovendo scendere da un'altezza elevata, finirebbe per raffreddarsi prima di aver raggiunto tutte le parti della fusione. Nell'esaminare quest'ultima ipotesi, Leonardo prevede perciò di distribuire i forni su più livelli sovrapposti lungo i lati della fossa. Un procedimento molto complesso, che comunque non dà garanzia di risultati ottimali. Entrambe le scelte (fusione in verticale e fusione in orizzontale) presentano quindi sia vantaggi sia inconvenienti, che Leonardo analizza accuratamente. Una nota contenuta nel secondo codice di Madrid:
"A dì 20 di dicienbre 1493 conchiudo gittare il cavallo sanza coda e a diacere"
lascerebbe pensare che egli sia orientato verso questa soluzione, ma in realtà il fatto che le sue ricerche proseguano anche oltre il 1493 rende difficile affermare con certezza che questa sia veramente la decisione definitiva.
Leonardo appare dunque perfettamente conscio dell'enormità dei problemi tecnici connessi alla realizzazione del monumento Sforza, tanto da temere ad un certo punto di non riuscire a concludere l'opera. A testimonianza dei suoi dubbi resta la minuta di una lettera del 1497 per i Fabbricieri del duomo di Piacenza, in cui, parlando di sé, egli scrive: " ...Lonar fiorentino, che fa il cavallo del duca Francesco di bronzo, che non ne bisogna fare stima, perché ha a che fare il tempo di sua vita, e dubito che, per l'essere sì grande opera, che nolla finirà mai".
Tratto dal Cap. 5 de "Un Cavallo per il Duca" Anthelios Editore
I due cavalli
Dal settembre 1999 a S. Siro, Milano, è presente un nuovo monumento: un gigantesco cavallo di bronzo ispirato ai disegni di Leonardo, realizzato negli Stati Uniti e donato alla città dalla Fondazione "Leonardo's Horse"
Leonardo aveva concepito la costruzione della più grande statua equestre del mondo, un'impresa che coniugava arte e sfida tecnica; durante i diciassette anni di permanenza a Milano, Leonardo riuscì però a preparare soltanto un gigantesco modello in creta che fu distrutto, durante l'occupazione francese della città, dai soldati francesi che scelsero il modello come bersaglio per le loro balestre.
Quasi cinquecento anni dopo, nel 1977, Charles Dent, un ex–pilota di linea statunitense, lesse un articolo del National Geographic sul Cavallo di Leonardo e s'innamorò dell'idea di realizzare quel cavallo che Leonardo aveva potuto soltanto sognare, per regalarlo alla città di Milano come segno di gratitudine verso il Rinascimento italiano che tanto aveva dato al mondo intero.
Dent creò quindi una fondazione (www.leonardoshorse.org) per raccogliere i fondi necessari alla costosissima fusione del Cavallo; il problema era però che in realtà dell'idea originale di Leonardo non restavano che pochi schizzi, del tutto insufficienti a farsi un'idea precisa del progetto originale. Dent creò un comitato scientifico di esperti leonardeschi e fece realizzare un modello del cavallo che però neppure lui riuscirà a vedere realizzato in bronzo: morirà infatti nel 1994.
Nel 1999, finalmente, sotto la guida della scultrice Nina Akamu, il cavallo viene fuso in pezzi separati poi uniti; nel settembre 1999 il Cavallo viene portato a Milano, presso l'Ippodromo di San Siro, luogo nel quale è oggi visibile in tutta la sua mole e la sua bellezza. In verità il Cavallo di San Siro non ha molti legami con il Cavallo originario pensato da Leonardo. Come scrisse nel 1999 l'allora Direttore del Museo della Scienza Domenico Lini: "siamo di fronte non al ‘cavallo di Leonardo’, ma ad un omaggio a Leonardo che appartiene all'area dell'ispirazione e dell'interpretazione, non a lui".
A fronte di questo fatto il Museo della Scienza ha cercato di riportare l'attenzione su ciò che sappiamo del progetto originario di Leonardo, con uno studio intitolato "Un cavallo per il duca – Storia e Fortuna del Monumento Sforza" (Anthelios Editore), del quale abbiamo riportato due capitoli e la bibliografia.
Provata la realizzabilità dell'enorme statua
Questa immagine mostra i difetti superficiali del bronzo equestre, come era stato progettato da Leonardo da Vinci (rosso = difetti maggiori, blu = nessun difetto). Le aree difettose sono le meno importanti per l'equilibrio del cavallo.
XC Engineering Srl
Simulazioni virtuali dimostrano la correttezza dei calcoli di Leonardo da Vinci per il progetto del capolavoro mai realizzato.
Una nuova ricerca multidisciplinare ha rivelato che "Il Cavallo", l'enorme statua equestre che Leonardo Da Vinci non ebbe modo di realizzare, non era afflitto da problemi tecnici, come era opinione diffusa. Al contrario, il piano di Leonardo da Vinci per la statua equestre più grande del mondo era un progetto perfettamente possibile che, se portato a termine, avrebbe costituito probabilmente la sua eredità più grande, più de ''L'Ultima Cena'' o di qualsiasi altra opera.
Gli ingegneri hanno sempre creduto che l'audace progetto per realizzare la maggior fusione mai fatta sarebbe fallito a causa di problemi tecnici.
"Come mantenere calda, a temperatura uniforme, una tale massa di bronzo liquido, e come tenere in equilibrio una struttura dall'enorme peso di parecchie tonnellate su tre gambe? L'informatica avanzata e i dati precisi conservati nei manoscritti di Leonardo hanno fornito le risposte," ha detto a Discovery News Paolo Galluzzi, direttore dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, in Italia. Combinando le note di Leonardo e il software Computational Fluid Dynamics, il team Galluzzi ha mostrato che il cavallo di bronzo alto otto metri, del peso di 70 tonnellate, sarebbe stato gettato con successo in un’unica colata di fusione, in soli 165 secondi.
"Il progetto era del tutto fattibile nelle due diverse versioni che Leonardo aveva concepito, con il cavallo posto sia in posizione orizzontale, sia verticale. Tuttavia, dovette abbandonare la posizione a gamba levata, in quanto in una fossa profonda 20 metri la fusione non sarebbe stata sicura", ha detto Galluzzi.
Per costruire il suo cavallo al trotto, Leonardo pensò di utilizzare la cosiddetta tecnica della colata indiretta, che permette il riutilizzo degli stampi negativi preparati per la costruzione del nucleo centrale. Ben noto ai greci sin dal VII secolo a.C., il metodo non era noto agli artisti del Rinascimento, poiché nessuna descrizione era sopravvissuta dall'antichità. Una sfida scientifica e artistica per il genio di Leonardo, che nel suo progetto esaminò tutti gli aspetti critici della procedura di colata.
Per raggiungere la temperatura ideale nella tempistica voluta, Da Vinci aveva anche ideato un sistema di forni temporizzato.
"I forni si aprivano in base a una sequenza predeterminata. Essi erano controllati da sensori pirotecnici che esplodevano quando il bronzo fuso li raggiungeva, inviando il segnale per aprire il forno successivo", ha detto Galluzzi.
Il maestro del Rinascimento aveva anche preso in considerazione tutti i possibili punti critici della statua, nel momento delicato in cui il bronzo fuso fosse defluito dai forni nello stampo.
"Il modello ha rivelato che tutto era stato attentamente pianificato. È risultato che le parti più critiche della fusione, dove il bronzo si raffredda più velocemente, sono quelli meno importanti per l'equilibrio del cavallo", ha detto a Discovery News Alessandro Incognito, direttore di XC Engineering, la società che ha effettuato la simulazione della colata.
Dai modelli in 3D è emerso che il bronzo fuso avrebbe riempito gli stampi della colossale statua in meno di 165 secondi e che il metallo avrebbe avuto il peso 70 tonnellate, esattamente come Leonardo aveva calcolato.
Secondo Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale nella città toscana di Vinci, dove l'artista nacque nel 1452, questo studio è importante, in quanto mette in evidenza gli aspetti che non è possibile indagare con i tradizionali strumenti di ricerca storica.
"Presenta un modo interessante di affrontare i progetti artistici delle epoche antiche, dal momento che mette insieme la tecnologia contemporanea e i documenti storici", ha detto Vezzosi a Discovery News.
I risultati di Galluzzi e la ricerca dei colleghi saranno visualizzati in una mostra presso il Museo di Firenze, mentre uno spettacolare evento è previsto per l'Expo di Milano 2015.
"Ora che la nostra ricerca ha dimostrato che il progetto di Leonardo era possibile, stiamo progettando finalmente di realizzare il cavallo, proprio nella città in cui doveva vedere la luce", ha detto Galluzzi.
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Articolo di Rossella Lorenzi per Discovery News, 4 marzo 2010.