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L'IMPRONTA DI BRAMANTE A PAVIA
Moduli e tracciati di
progetti rinascimentali L’architettura
rinascimentale fu fortemente influenzata da quell’esprit de géométrie che si era già sviluppato e imposto durante il
Medioevo gotico. La razionalità geometrica dei modi di costruire trovò due
nuovi impulsi alla ricerca teorica e alle applicazioni pratiche: lo studio dei
classici dell’antichità e le matrici del pensiero neoplatonico. Il solo lavoro
classico sopravvissuto sull’argomento era il De Architectura di Vitruvio, il quale dimostrava che il corpo umano
con braccia e gambe allargate poteva essere inscritto sia in un cerchio sia in
un quadrato. Poiché il cerchio
rappresentava l’eternità, il cielo e Dio, e il quadrato la solidità della terra
(“la casa dell’uomo”), tale figura divenne simbolo espressivo della teoria del
macrocosmo e del microcosmo, secondo cui l’uomo è una copia in miniatura del
mondo e di Dio. Questa teoria giustificò
l’idea dell’uomo come essere potenzialmente divino. Di conseguenza gli architetti
rinascimentali teorizzarono edifici costruiti in relazione alle proporzioni del
corpo umano, come immagine della divina armonia dell’universo. Il cerchio e il
quadrato, come simboli di Dio e dell’uomo, generarono edifici a pianta
centrale, col punto focale al centro anziché a una delle estremità. La tensione dinamica della
chiesa gotica, che indica l’aspirazione all’ascesa a Dio in cielo, fu
sostituita dal simbolismo della pianta centrale coronata dalla cupola, intesa
ad assicurare l’unione dell’uomo, nel centro, con Dio e con l’intero universo.
La teoria dell’immanenza di Dio nel creato produsse splendide architetture,
perfettamente scandite da una logica di razionalità modulare che progettisti
geniali, come Brunelleschi, Alberti e Bramante, tradussero dalle regole
geometriche alle norme spaziali e alla pratica costruttiva. Donato Bramante (1444 ‑1514), nativo di
Urbino, operò nel 1477 a Bergamo e dal 1481 fu a Milano ove, riprendendo
l’eredità lasciata dal Filarete (che era morto verso il 1465), diede l’impulso
insieme a Leonardo da Vinci alla costruzione di organismi basati sulle regole
del classicismo e in particolare sui principi della pianta centrale. “I contatti con Leonardo
divengono espliciti nel progetto per il duomo di Pavia, iniziato con complessa
vicenda nell’88 con la collaborazione del Rocchi e dell’Amadeo. Qui la fusione
di spazio centrale e spazio longitudinale è volutamente compromessa ‑ a
scopo sperimentale ‑ dall’introduzione di quattro organismi ottagonali ad
absidi denunciate all’esterno, memori dello schema planimetrico del
paleocristiano San Lorenzo a Milano. All’universalità del concetto di spazio ‑
come negli studi di Leonardo, chiamato come consulente a Pavia nel ‘90, insieme
a Francesco di Giorgio ‑ incomincia a sostituirsi un inquietante
policentrismo prospettico: moltiplicando gli organismi a pianta centrale in un
complesso aggregato, l’ideale della centralità stessa si disperde, si
compromette, si frantuma[1].
L’ansia sperimentale di
Bramante si rivela nelle tematiche continuamente rinnovate con cui affronta la
costruzione della tribuna di Santa Maria delle Grazie (1492‑97) dopo aver
atterrato l’abside solariana, della canonica e dei chiostri di Sant’Ambrogio
(1492‑98) e, forse del protiro di Santa Maria di Abbiategrasso (1497) e del
palazzo Carminali‑Bottigella a Pavia (1492‑93)”[2].
“Dopo un primo progetto
(redatto, sembra, da Cristoforo de Rocchi ‑ magister a lignamine ‑ che pare fosse ispirato a Santa Sofia
di Costantinopoli approssimativamente nota attraverso disegni) poi modificato
dall’Amadeo, la prima pietra di questo edificio fu posta il 29 giugno 1488; ma,
sorti dei contrasti tra l’Amadeo e il de Rocchi, nell’agosto dello stesso anno
è chiamato Bramante perché con loro rediga un "certum designum seu planum" per la nuova costruzione.
Egli... deve essere considerato con ogni probabilità come il maggiore
responsabile del progetto[3];
anche se, successivamente, l’Amadeo compare come "inzignerio
principale" preposto alla realizzazione... Nel 1490 l’edificio doveva
essere già stato iniziato... il Duomo di Pavia, nella sua concezione d’insieme,
richiama non tanto specifiche soluzioni quanto un atteggiamento assai vicino a
quello che Leonardo mostra nei suoi schizzi. Negli anni successivi al
1495 (quando Bramante non compare più nei documenti), morto Cristoforo de
Rocchi che aveva iniziato un primo modello, il magister a lignamine Giovanni Pietro Fugazza realizza un grande
modello della chiesa ‑ che ci è pervenuto ‑ fatto secondo il
disegno stabilito nel 1495 dall’Amadeo, da Gian Giacomo Dolcebuono e dal
Fugazza stesso ma che doveva anche tener conto della parte già costruita in
precedenza con l’intervento di Bramante. Almeno l’impianto d’insieme, la
cripta, la parte basamentale della zona absidale e delle sacrestie (come
compaiono nella costruzione e nel modello, per questa parte tra loro
sostanzialmente corrispondenti) debbono risalire... al primo progetto redatto
con la preminente partecipazione di Bramante... Anche se a prima vista può
sembrare sorprendente... l’impianto di base deve essere stato suggerito dal
Santo Spirito brunelleschiano, al quale rimandano alcune soluzioni particolari
come ad esempio il susseguirsi sul perimetro di cappelle semicircolari
estradossate... A modificare l’impianto geometrico del Santo Spirito ‑
una volta pensato e tradotto in termini albertianamente murari e in parte
rivisto sulla base dell’impianto del duomo di Milano ‑ interviene
tuttavia, nella genesi progettuale, la volontà di accentuare la centralità e la
preminenza spazio‑volumetrica del corpo presbiteriale sulla base del
ricordo di realizzazioni del genere di Santa Maria del Fiore a Firenze o del
santuario di Loreto (che Bramante doveva conoscere).
Si configura così una chiesa
a impianto “composito” (pure teorizzato in quegli anni da Francesco di Giorgio)
costituita da un grande corpo a nucleo ottagonale a cupola e da un corpo
anteriore a tre navate. Nel quadrato centrale stabilito dallo schema geometrico
del Santo Spirito e di lato pari all’intera larghezza delle tre navate,
cancellati i quattro pilastri della piccola cupola dell’ideale prototipo
brunelleschiano, è inserito il grande ottagono a lati disuguali della cupola.
Raccordato con soluzione rigorosa ed audace alle strutture circostanti esso è
sostenuto da grandi piloni, collegati da strutture arcuate, disposti in pianta
ai vertici di un triangolo isoscele: quasi un immenso, unico pilastro cavo ed
articolato, audace prova e quasi una prima prefigurazione dei piloni di San
Pietro. Questo grande ottagono, con la cupola enorme, pone un elemento dinamico
nel cuore dell’edificio, un elemento che contesta dal di dentro e distrugge il
regolare assetto del prototipo fiorentino, introduce uno spazio, un volume
d’atmosfera luminosa, che trabocca al di là dei suoi limiti geometrici, si
espande intorno fino alle navate, alle absidi, alle cappelle, in un
irresistibile impulso centrifugo, che via via smorzando la sua energia, modella
le forme, le rileva, e insieme le sommerge e le annega, come dice il Baroni,
"in un bagno d’irrealistica nebulosità boreale”[4]. L’impiego di ben tre (o, nel progetto originario,
forse quattro) “sistemi ordine+arco”, tra loro sintatticamente coordinati,
doveva assicurare la rigorosa connessione degli spazi di differente grandezza
che costituiscono l’organismo quello della cupola, quello della navata
maggiore, quelli delle navate minori, quelli delle cappelle... I continuatori
di Bramante apportarono certamente, nel modello e nella costruzione, modifiche
considerevoli... In area padana (e per lo più
a opera di lombardi, anche, talvolta, nell’Italia centrale) sorgono negli
ultimi anni del secolo, ed ancora nei primi del successivo, un numero rilevante
di edifici sacri ‑ per lo più a impianto centrico ‑ che
direttamente o indirettamente rimandano a Bramante (e a lui infatti alcuni di
essi sono stati più volte attribuiti). Per alcuni di questi ‑ forse la
chiesa di Santa Maria di Canepanova a Pavia, quella di San Magno a Legnano, la
cappella della Pozzobonella a Milano, quella del SS. Sacramento nella
Parrocchiale di Caravaggio ‑ non è inverosimile un suo iniziale
intervento progettuale... partendo da scherni geometrici elementari, tali
edifici si configurano in aggregazioni spesso complesse di spazi e di
strutture... accomunati tuttavia da un metodo progettuale che... risolve per lo
più l’edificio ‑ il suo interno e il suo esterno ‑ in
"macchina", in cui ogni parte vive nell’insieme come elemento
indispensabile di un "congegno", anche strutturale, unitario... Già nel 1488, a Pavia,
Bramante, più di ogni altro architetto in questi anni, si pone come il vero
erede nel profondo ‑ delle proposte innovatrici del Brunelleschi. Pur se.
specialmente in queste prime opere, il lessico architettonico appare più
albertiano che brunelleschiano, la sostanza progettuale fa riferimento
soprattutto, al di là delle apparenze, all’insegnamento del Il primo
fondatore" dell’architettura rinascimentale”[5]
Nel Monastero della Pusterla
a Pavia e nella chiesetta di San Rocco a Sant’Angelo Lodigiano si ravvisano due
oratori a pianta centrale, la cui origine tipologica può essere fatta risalire
a reminiscenze bizantine (piante “a quinconce”), o all’oratorio milanese di
Santa Maria presso San Satiro. Un oratorio molto simile, con ornamentazioni in
cotto alla maniera lombarda, si può trovare persino a Mosca, forse importatovi
dalla bottega dei fratelli Solari. Tali edifici appaiono di scarsa rilevanza
per un’analisi sull’architettura modulare nel periodo umanistico. Possiamo piuttosto
iniziare la nostra analisi dei tracciati rinascimentali da un progetto di
piccole dimensioni, d’impronta bramantesca, che aprì a Pavia l’importante
capitolo delle nuove architetture a pianta centrale. Si tratta di Santa Maria
Incoronata di Canepanova ricordata nel brano r di Bruschi. Esaminiamo il
tracciato della chiesa, che appare basato su un modulo unitario di base di 8
piedi parigini.
Per poter analizzare i
rapporti modulari e geometrici di un progetto, è molto importante individuare e
conoscere le unità di misura usate dai suoi costruttori. Le unità di misura che
s’incontrano negli edifici medievali pavesi dei periodi visconteo e sforzesco
si basano fondamentalmente sul piede parigino e sul suo multiplo, la tesa,
equivalente a 6 piedi, misure che furono diffuse in tutta Europa, nel Medioevo,
dalle maestranze gotiche che andavano costruendo il sistema delle abbazie
cistercensi. Solo in un periodo successivo entrò nell’uso corrente il braccio
milanese, o “braccio di fabbrica”. Quanto ai multipli del piede
parigino, oltre alla tesa, che equivaleva a 6 piedi, dobbiamo ritenere che le
maestranze dei costruttori (corporazioni di muratori) usassero abitualmente
anche altri rapporti di moltiplicazione:
x 8, x 10, x 12, x 16, x 24, in grado di offrire, nei loro mutui
rapporti, una serie di possibilità di “numeri sacri” codificati dalle regole auree. 24 piedi = m 7,80* *misure leggermente
arrotondate L’edificio bramantesco di
Santa Maria Incoronata di Canepanova si basa su un modulo di 8 piedi parigini,
che possiamo arrotondare con lievissima approssimazione a m 2,60.[6]
Le sue misure principali risultano: pianta quadrata di 64 x 64
p.p. (8 moduli); Dopo il primo impatto coi
moduli costruttivi dei progetti bramanteschi, consentito dall’analisi delle
misure e del tracciato di Canepanova, possiamo tentare di discutere sulle unità
di misura e i tracciati geometrici del progetto del Duomo di Pavia. Un’analisi
che possa essere basata su elementi metrici controllabili richiede,
innanzitutto, l’esclusione di ipotesi a posteriori su un primitivo progetto a
pianta centrale, del quale non abbiamo sufficienti riscontri congruenti col
modello ligneo di progetto o con la struttura architettonica del Duomo attuale.
Inoltre, date le notevoli variazioni che alcune parti della costruzione hanno
subito nel corso dei secoli, specialmente in alzato, con la realizzazione del
tamburo sottostante la Cupola, dobbiamo di necessità fare riferimento all’unico
documento di progetto tuttora esistente nella sua integrità, cioè al modello
ligneo del Fugazza. il Gianani infatti racconta:[7]
“Al tamburo eretto in questi
memorabili anni [ossia verso la metà del sec XVIII ‑ nota nostra] si scosta da quello che il modello in legno
ci offre. Questo reca nicchie a cinque e a sette per ogni lato rispettivamente
minore e maggiore dell’ottagono, una balconata e un finestrone tondo per
ciascun lato. Venne invece apprestato... il tamburo solamente a grandi gallerie
‑ tre per lato ‑ e la cupola slanciatissima, a due calotte... Il
disegno... del 1762... ottenne l’approvazione dell’architetto Alfieri... e
venne seguito per tutta la parte che allora si doveva elevare: il tamburo. Successivamente anche la cupola, eretta negli anni
1882‑85 dall’arch. Carlo Maciachini, si distaccò lievemente dal
modello... mentre il modello ligneo offre le due calotte o cupole differenti
alquanto in curvatura, il Maciachini le
concepì ‑ son sue parole ‑ con andamento parallelo o quasi”.[8]
Non è lecito pertanto, per
indagare sugli originali rapporti geometrici e sul tracciato ordinatore del
Duomo di Pavia, né analizzare la pianta (accorciata e solo imperfettamente
simile a una croce greca) o l’alzato del Duomo attuale, con la cupola
sopralzata (per la maggiore altezza del tamburo settecentesco) e modificata nel
secolo scorso dal progetto esecutivo di Carlo Maciachini, né l’uso di unità di
misure moderne, come il metro, che è stato adottato alcuni secoli dopo i
periodi storici di cui ci stiamo occupando.[9]
Dovremo quindi armarci delle
unità di misura in uso all’epoca (piede parigino e suoi possibili multipli: x
6, x 8, x 10, x 12, x 16, x 24, ecc.), per tentare delle verifiche su quella
parte della costruzione che meglio rispecchia il progetto originale, ossia la
parte circostante all’abside maggiore. Altre misure, come vedremo, possono
servire per un confronto tra la pianta della chiesa al livello principale e
quella della cripta, che meglio rispecchierebbe l’idea iniziale del progetto
bramantesco. Arnaldo Bruschi propone un
confronto tra i tracciati della pianta del nostro Duomo e di quella di Santo
Spirito a Firenze, importante “opera prima” del Brunelleschi nella storia degli
edifici sacri rinascimentali.[10]
Tale confronto appare fortemente convincente. L’impianto modulare del
Duomo di Pavia appare basato sulla medesima unità di misura. La larghezza
complessiva del Duomo è di 240 p.p., equivalenti a 30 moduli da 8 piedi, ossia
doppia di quella di Santa Maria del Carmine e della Certosa di Pavia. La
medesima misura è quella dell’altezza alla sommità della cupola, desunta dal
modello ligneo del progetto originale. L’impianto reticolare della pianta si
basa su quadrati col lato di 24 piedi (ossia 3 moduli da 8 piedi, ovvero 4 tese
da 6 piedi). Tale misura corrisponde approssimativamente a m 7,80. Secondo gli studi
sopracitati, integrati in particolare dallo studio di Antonio Cadei[11]
sui rapporti tra la cripta e la pianta della zona absidale, l’impianto modulare
desumibile dal modello ligneo e controllabile nelle misure della parte absidale
della pianta del Duomo attuale sarebbe riconducibile al progetto rielaborato
dall’Amadeo, dopo la sua assunzione della direzione dei lavori della fabbrica.
A giudicare dai rapporti planimetrici di questa parte della costruzione con la
sottostante cripta, il progetto bramantesco si sarebbe sviluppato sulla base di
un sistema di moduli di misura leggermente inferiore. Risulta impossibile procedere oggi a un controllo
diretto, a causa delle condizioni statiche e di sicurezza dell’edificio;
tuttavia che il passaggio compiuto dall’Amadeo, da un sistema geometrico
all’altro, appare complesso e non consiste in un semplice cambiamento delle
unita modulari di misura, bensì in una elaborata e calibrata modifica delle
regole costruttive dell’intero tracciato, al fine di poter realizzare una
fabbrica più gigantesca, pur approfittando delle fondazioni che erano già state
realizzate. A tale modifica pare di poter ascrivere anche la forma definitiva
dei pilastri che sorreggono l’ottagono centrale della cupola, i quali fanno
staccare la cupola stessa dai quattro bracci della croce con arcate duplici, il
cui spessore risulta più che doppio delle altre consimili, rette da tutti gli
altri pilastri dell’invaso principale della chiesa. La ricerca sui moduli e gli
schemi dell’architettura tracciata, condotta in particolare su monumenti
dell’area pavese, procede nel tempo e cerca di individuare le regole della
geometria deducendole necessariamente non da progetti fissati sulla carta ma da
indagini condotte sui luoghi, così come concretamente oggi appaiono, e alterate
dai cambiamenti del sistema di misura, dai ripensamenti e dai rifacimenti
successivi, dalle alterazioni dovute all’usura del tempo e, talvolta, anche a
inconsulti restauri. Ammettiamo che è già, un tanto o poco, problematico
convincersi della fondatezza di certi ragionamenti, per chi non si sia ancora
abituato a considerare che lo spirito progettuale e razionale dell’uomo
dovette, da sempre, cercare di mettere nella propria opera un ordine, che si è
concretizzato in regole geometriche. Altra cosa, però, è insegnare la geometria
e renderla applicabile tramite il disegno, altra è cercare di individuare una “geometria
nascosta” dall’usura dei secoli e dalla necessità di ragionare sull’opera
costruita, con tutte le deformazioni che essa ha potuto subire. Ciò può
provocare, talvolta, paradossali fraintendimenti o esagerati entusiasmi, che
sarebbe qui impietoso voler sottolineare.[12]
Occorre tuttavia ribadire la necessità del massimo rigore nell’applicare, epoca
per epoca, alcuni paradigmi storicamente accertati, e in particolare
raccomandare la corretta misurazione delle opere sulla base delle unità di
misura allora in uso. Quando e perché queste
regole hanno cessato di costituire una norma seguita dai progettisti, quando la
simbologia dei tracciati e delle geometrie è stata accantonata tra i ricordi di
un passato, non più comprensibile? Gli studiosi francesi tendono a
identificare, per varie ragioni, con il sec. XIX e con l’epoca positivista la
caduta di tensione dell’architettura e la perdita diffusa della coscienza delle
simbologie geometriche, pur con notevoli eccezioni, che ripetono sin
nell’architettura moderna l’attenzione ai modelli del passato. La grande battaglia di Pavia
del 1525 segnò il momento di una vera transizione epocale: la città, che
conservava il segno e le ambizioni di una capitale, divenne una semplice
«piazzaforte» e, dal punto di vista economico e culturale, un centro di
dimensioni provinciali. Con l’eccezione costituita dalla presenza
dell’Università, con l’ultimo tentativo di ricerca nella logica dei tracciati
costituito, nel Settecento, dalle architetture volute dalla famiglia Mezzabarba
e progettate dall'arch. Giovanni Antonio Veneroni. NOTE
1. G. CHIERICI, Il modello del duomo di Pavia, in "Centro naz. di Studi di Arch., Boll. del gruppo lombardo", Milano, 1942; C. BARONI, Bramante, Bergamo, 1944; O. FORSTER, Bramante, Wien ? Munchen, 1956.
Quest’articolo è tratto da “Pavia
Economica”, N. 1, Pavia, 1996 (pp. 64-70).
Riguardo al progetto del
Duomo di Pavia è illuminante anche una lunga citazione di Arnaldo Bruschi:
Offriamo l’equivalenza del
piede, dei suoi multipli e del pollice con le nostre attuali unità di misura:
16 piedi = m 5,20*
12 piedi = m 3,90*
10 piedi = m 3,25*
8 piedi = m 2,60*
tesa parigina = m 1,95* = 6 piedi
piede parigino = cm 32,484 = 12 pollici
pollice = cm 2,707
altezza della cupola 80 p.p.
(10 moduli);
altezza alla sommità della
lanterna 96 p.p. (12 moduli), ossia una volta e mezza il lato della pianta;
rapporto lato di
base/altezza alla sommità ella cupola: 8/10;
rapporto lato di base/altezza alla sommità della
lanterna: 1: 1,5 (8/12);
diametro esterno della
cupola 24 p.p. = m 7,80
Fu infine il Maciachini che,
in accordo col vescovo mons. Riboldi, decise di accorciare la navata del Duomo,
che il modello ligneo prevedeva ancora molto lunga, e di arrestarsi con la
facciata nella posizione attuale, realizzando con la pianta che ne risultava
un’imperfetta croce greca.
2. M. TAFURI, L'architettura dell'umanesimo, Bari, Laterza, 1969.
3. Un disegno appartenuto alla collezione De Pagave (ora nella Biblioteca Civica di Novara), nel passato creduto di Bramante, ma certamente tarda copia di un disegno più antico, porta una scritta che ne attribuisce la paternità a Bramante e lo data al 1490 ("Dominicum Templum Ticini Fundatum - ab Ascanio Sfortia S. R. Eccl. Card. - Bramante Urbinate inven. MCCCCXC").
Poiché la parte inferiore dell'edificio corrisponde sostanzialmente alla realizzazione mentre la parte superiore, specie la cupola, è da questa notevolmente diversa, potrebbe realmente trattarsi di copia di un'idea bramantesca.
Cfr. G. STRUFFOLINO KRUGER, Disegni inediti di architettura relativi alla collezione di Vincenzo de Pagave, in "Arte lombarda", XVI. 1971, p. 292.
4. Cfr. C. BARONI, Bramante, Bergamo, 1944.
5. A. BRUSCHI, Bramante architetto, 1969; Bramante, Bari, Laterza, 1973.
6. Cfr. il rilievo di G. CALVI, in "L'Architettura", 4, 1964.
7. F. GIANANI, Il Duomo di Pavia, 1488-1932, Pavia, Artigianelli, 1932, p.28.
8. IVI, p. 42.
9. Basta una qualsiasi enciclopedia per controllare che la prima adozione dell'unità di misura che chiamiamo "metro" risale al 10 dicembre 1799 (da parte dell'Assemblea Nazionale francese).
10. Cfr. A. BRUSCHI, Op.cit.
11. A. CADEI, Nota sul Bramante e l'Amadeo architetti del Duomo di Pavia, in "Boll. della Società Pavese di Storia Patria", Nuova Serie, XXII-XXIII, Pavia, 1972-73, pp. 35-60.
12. Cfr., ad es.: G. CALVI - C. TEOLDI, I rapporti modulari della cattedrale di Pavia, in "Boll. della Società Pavese di Storia Patria", a. XCV, Nuova Serie, vol. XLVII, Pavia, 1995, pp. 273-280.
In tale articolo, s'individua una "modularità" del progetto bramantesco basata sull'uso del metro, che - come abbiamo detto - entrò in uso quasi tre secoli dopo!