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SAN VALERIANO A ROBBIO (Pavia)
Questa chiesa, negli antichi documenti, è citata sotto vari titoli: risulta dedicata al Santo Salvatore e ai Santi Matteo apostolo e Valeriano (1081-1082), a Sant'Andrea e San Valeriano (1236), a Santo Stefano (1612). La più antica citazione del monastero di San Valeriano di Robbio si trova in un documento dell'epoca di Papa Leone IV (847-855): il Monastero di Sant'Andrea in Robbio risulta essere uno dei maggiori della Lombardia e si rammenta che fu ceduto da Carlo Magno a Papa Leone IV, insieme con altri beni, in ricompensa dell'aiuto ricevuto contro i Longobardi.
Negli anni 1081-82 una serie di atti di donazione trasferisce la proprietà della chiesa e del monastero di San Valeriano da una famiglia longobarda del luogo al prete Pietro, detto Donadio, che a sua volta la dona ai monaci benedettini (cluniacensi). Dai documenti i beni in questione non risultano "consacrati", il che potrebbe indicare una ricostruzione appena avvenuta.
Nella seconda metà del sec. XI i monasteri benedettini in Lombardia sono sessantacinque. I monaci benedettini rimangono a San Valeriano sino alla fine del sec. XIV e ne fanno il secondo monastero della Lomellina in ordine d'importanza, dopo quello di Lomello.
Nel sec. XIV però il monastero non gode più della prosperità dei secoli precedenti ed il tiburio della chiesa minaccia rovina.
Il numero dei monaci e le rendite vanno diminuendo sinché, poco prima del 1400, il monastero interrompe del tutto la propria attività. I suoi beni sono convertiti in beneficio semplice, col titolo di Priorato di San Valeriano.
Le volte attuali fanno pensare ad un'integrale ricostruzione delle coperture nel corso del sec. XV.
Il Priorato di San Valeriano viene unito al Seminario Urbano di Vercelli con decreto del 14 febbraio 1566. La chiesa rimane però in commenda alla famiglia Ajazza di Vercelli.
Un documento del 1583 mostra l'esistenza di un notevole complesso monumentale, costituito dalla chiesa, ormai detta di Santo Stefano, dal monastero, dal battistero e dal campanile. Non è dato sapere in che condizioni si trovi allora la parte corrispondente al transetto e non si hanno notizie di una sua ricostruzione.
Il crollo della cupola ottagonale, col tiburio e con le volte fiancheggianti; è da ritenersi successivo a tale rimaneggiamento radicale.
Un documento del 17 maggio 1664 descrive le precarie condizioni della chiesa. Nel 1756 viene approvato il progetto per la nuova chiesa parrocchiale, tuttora esistente, dedicata a Santo Stefano. La costruzione della nuova chiesa, di grandi dimensioni, procede però a rilento, tanto che nel 1773 il Comune affida ad un gruppo di capomastri l'incarico di valutare se non sia più conveniente ampliare e restaurare San Valeriano piuttosto di proseguire i lavori della nuova parrocchiale.
Da un atto del 1787, relativo ad una lite fra il Comune e le sorelle Cardano, proprietarie del feudo di San Valeriano, si apprende che sono in via di demolizione il battistero, il campanile e la sagrestia nuova. Un atto successivo, del 1792, offre una descrizione del fondo di San Valeriano, dalla quale si nota come del primitivo complesso non sia infine rimasta in piedi che la chiesa.
La chiesa stessa viene alienata nel 1795, trasformata in magazzino di granaglie e divisa in due piani con un solaio retto da putrelle in ferro.
Nel 1967 i proprietari dell'edificio, allora destinato ad usi agricoli, donano le loro diverse parti alla chiesa parrocchiale. Si iniziano i lavori di restauro, eliminando superfetazioni di vario genere, reintegrando lo spazio delle tre navate e la facciata, ricostruendo l'abside minore settentrionale sul basamento rimasto.
LE EPOCHE DEL MONUMENTO
La maggior parte delle strutture esterne della chiesa, come si presenta oggi, è da attribuirsi al periodo romanico (sec. XIII), mentre all'interno le volte testimoniano di un intervento di rifacimento che può risalire al sec. XV. Una parte del muro perimetrale sud risale ad una costruzione precedente (sec. X-XI), che era probabilmente di dimensioni inferiori all'attuale e priva di transetto sporgente. Il muro, al quale si appoggiava probabilmente il chiostro del monastero, è stato conservato nella ricostruzione successiva, così che la chiesa è diventata asimmetrica, con il braccio nord della croce più ampio di quello sud. Sull'ultimo pilastro di destra delle navate è graffita un'iscrizione con la data 1216; un'altra data "1426" è impressa sull'ultimo pilastro di sinistra e può testimoniare dei lavori di restauro e di rifacimento delle volte e forse della cupola e del tiburio (poi caduti).
Nelle murature superstiti si possono riscontrare quattro fasi principali:
- una prima, ascrivibile al sec. XI, con tratti di apparato murario a spina di pesce, appare nella parete perimetrale del lato sud, in diversi punti, e corrisponde anche al tratto di fondazione rettilinea, con un semipilastro sporgente verso l'interno, che si prolunga verso est in prosecuzione dello stesso muro;
- una seconda fase, con grossi mattoni di ottima fattura, appare attribuibile al sec. XIII.
A tale fase appartiene nelle sue grandi linee il volume dell'edificio con tre navate, cupola centrale, transetto sporgente sul lato nord e tre absidi, che in gran parte è giunto sino a noi, pur tra manomissioni e con la perdita delle coperture del braccio trasversale e della cupola.
A sud la nuova costruzione incorporò il muro perimetrale della vecchia, che doveva far parte anche del chiostro del monastero;
- una terza fase è riconoscibile nel rifacimento di una parte dei pilastri di sostegno, nonché nella fattura delle attuali volte di copertura; tale fase appare corrispondente con le date del sec. XV graffite sui pilastri stessi.
A tale periodo appartengono le basi sagomate in laterizi dei pilastri stessi;
- la quarta fase corrisponde con la riduzione della testata settentrionale del transetto a "cappella" di piccole dimensioni.
In tale circostanza il muro di fondo della cappella fu fondato su un ampio arcone, al fine di non intaccare il basamento di un sepolcreto più antico, e al centro, sotto il pavimento, fu costruita una tomba di dimensioni relativamente piccole.
Occorre infine menzionare le tracce dell'absidiola meridionale.
Peraltro, si rammenta che gli scavi compiuti nella zona ove il muro perimetrale manca completamente lasciano tuttora incertezza sulla ricostruzione del perimetro originario, e in particolare sulle dimensioni - se non sulla presenza - dell'absidiola meridionale.