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LA LEGGENDA DI LIUTPRAND E IL PIEDE LIPRANDO
Re Liutprand (Liutprando o
Liprando), longobardo, era il più forte, il più saggio, il più grande dei Re.
Un giorno, mentre girava a cavallo, si narra che gli si avvicinassero alcuni
abitanti a chiedergli di stabilire una precisa unità di misura, per evitare le
frodi nel commercio. Infatti, senza una regola precisa, i più prepotenti
potevano esercitare soprusi sui deboli. Si dice che allora il re appoggiasse il
piede su una grande pietra, per fissare una misura, una volta per tutte, per la
vendita equa di stoffe e di altri beni. L’impronta del suo piede rimase
impressa sulla pietra senza l’intervento umano.
B. POMI, Delle antiche e più recenti misure lineari, in "I Quaderni", Club ingegneri milanesi, feb. 1998.
“[...] A Savignone (nell’entroterra genovese) si tramanda
una leggenda che forse adombra una realtà accaduta in un tempo particolarmente
avaro di documentazioni. E' la leggenda del passaggio e della sosta di
Liutprando, Re dei Longobardi, ipotetico fondatore di un monastero ormai da
tempo scomparso. Dalle parole di Beda si può ricavare la certezza
della traslazione dell'urna a Pavia, in un ristretto lasso di tempo (722-726, a
seconda dei computi), e l'approdo della galea recante l'urna non può che essere
avvenuto nel porto di Genova: Liutprando dominava un territorio comprendente la
costa italica da Ventimiglia alla Toscana e oltre, e Genova era la città
portuale più prossima a Pavia.
Quella misura rimase in uso per secoli. La sua capitale,
Pavia, volle eternarne la memoria e adottò, come unità di misura principale, la
lunghezza del suo piede. Ne scolpì la traccia sulla soglia del Palazzo e presso
la porta della Cattedrale, e tutti i mercanti dovevano conformarsi a misurare
le loro merci in “pè liprandi” (piedi di Liprando). Fu così che a Pavia l’unità
di misura del piede (detta anche "piede agrimensorio") rimase a lungo di oltre 47 centimetri dei nostri, oltre una
volta e mezzo quelli delle altre città ed in rapporto aureo (1,612 volte circa) col piede romano. Ricordiamo che il piede romano misurava cm 29,5, mentre
il piede parigino, usato secoli dopo dai costruttori gotici nei cantieri edili di
tutta Europa, misurava quasi cm 32,5.
"Ebbene, nel 1895 a Pavia si rinvennero pochi resti umani, che da accurate analisi storiche, anatomiche e storiografiche furono sicuramente riconosciuti come le ossa di Re Liutprando.
Minuziosi e pazienti rilievi antropometrici ricostruirono le misure del suo corpo ed in particolare dei piedi: la statura risultò di 1,73 m, e gli arti inferiori risultarono precisamente pari a 254 e 261 mm, rispettivamente per il
piede destro e per il piede sinistro.
Si è notato che la somma delle due lunghezze è uguale a 515 mm e differisce per meno di 6/10 di mm dalla misura del Piede di Liutprando,definito in Piemonte dal 1818.
Alcuni studiosi ritengono probabile che il valore originario del Piede di Liutprando equivalesse a 0,4432 m, e corrispondesse
quindi al cubito romano... altri sostengono invece che questo piede valesse originariamente 0,5138 m... sta di fatto che nel corso dei secoli il valore del Piede di Liutprando
variò sensibilmente da luogo a luogo e da tempo a tempo, oscillando tra 392 e 544 mm...
In realtà il suo valore, precedentemente al 1818, era in Piemonte 513,76597 mm; ma su richiesta
del Conte Prospero Balbo e parere dell'Accademia delle Scienze di Torino la misura fu modificata, con l'aggiunta di poco più di 6/10 di mm, nel valore definitivo di 514,40329 mm... misura del minuto terzo
del grado medio del meridiano terrestre."
Liutprando, proveniente da Pavia, si sarebbe fermato
a Savignone per attendervi la carovana che stava trasportando da Genova le
spoglie di Sant'Agostino, destinate a solenne sepoltura nella Basilica pavese
di San Pietro in Ciel d'Oro. I resti del Santo di Tagaste erano stati, per
volontà e liberalità dello stesso Liutprando, sottratti a possibili
profanazioni da parte dei Saraceni, che stavano allora dilagando in Sardegna
(ove i resti stessi erano stati sepolti a Cagliari).
Del fatto si ha la precisa testimonianza tramandata
da Beda il Venerabile, storico inglese vissuto dal 674 al 735 e quindi
contemporaneo di Liutprando, nel trattato De sex aetatibus mundi.
Tutto il resto è leggenda: il viaggio del re
incontro alla reliquia, il miracolo dell'urna, fattasi improvvisamente tanto
pesante da non poter essere spostata, così da indurre Liutprando a promettere
in voto l'erezione di un monastero sul luogo genovese ove accadde il prodigio,
l'ipotetico sbarco a Sampierdarena (priva di attrezzature portuali), la sosta a
Savignone con conseguente spostamento della sede del miracolo.
La fonte di tutto ciò si può forse trovare in Jacopo
da Varagine, il quale trasformò lo stringato racconto di Beda in un capitolo
agiografico come si legge nella sua Cronica, ove l'evento è spostato a
dopo il 732:
"Viatore, sesto vescovo, salì in cattedra
attorno al 732. Al suo tempo le ossa del beato vescovo Agostino, per ordine del
cristianissimo re dei Longobardi di nome Liutprando, furono trasportate da
Genova alla Sardegna. Quando il re seppe che esse erano giunte a Genova, partì
da Pavia e giunse a Genova. Ma quando il re volle far portare le reliquie a
Pavia, esse diventarono tanto pesanti che in nessun modo i portatori poterono
sollevarle. Allora il re fece voto a Sant'Agostino che, se avesse consentito
che le sue reliquie potessero essere sollevate e portate a Pavia, avrebbe fatto
erigere una chiesa in suo onore nel luogo presso Genova ove egli era ospitato.
Fatto il voto, subito i portatori agevolmente sollevarono l’urna e il re adempì
a quanto promesso. Tuttavia non si sa dove sia tale chiesa. Alcuni dicono che
sia la chiesa di san Teodoro, altri quella di san Tomaso, altri ancora dicono
che si tratti del palazzo arcivescovile che si trova presso San Silvestro ove
il suddetto re era stato ospitato. Così si edificò quel palazzo e la cappella
di sant'Agostino che ancora vi si trova".
E' evidente che l'interesse di Jacopo da Varagine è concentrato sul miracolo.
La sua prosa si fa incerta quando si tratta di collocare l'evento, ed è quanto
meno strano che un arcivescovo genovese fosse all'oscuro di una così importante
localizzazione. Comunque egli, premesso che l'evento prodigioso accadde presso
Genova (e verrebbe fatto di pensare a Sampierdarena, ma Jacopo da Varagine non
ne parla), cita due chiese dell'allora estremo suburbio di ponente (San Tommaso
e San Teodoro), ma poi ripiega su San Silvestro che non era certo fuori Genova
e identifica la chiesa votiva con una cappella la quale non corrisponderebbe
alla chiesa-convento di Sant'Agostino, risalente al 1620, ma, come afferma il
Giustiniani, al convento delle suore Domenicane di Pisa, poi detto di Santa
Croce.
Il nome di Savignone si lega alla leggenda
attraverso una lettera che l'arcivescovo milanese Pietro Oldrado scrisse a
Carlo Magno nel 795: in essa si dice che il miracolo avvenne apud praedium
quod dicitur Savirianense, ai confini del territorio di Tortona.
L’indicazione sembra adattarsi a Savignone, allora soggetto al Vescovo di
Tortona; ma il discorso si arresta subito perché la lettera dell’Oldrado è
apocrifa. A parte le considerazioni tecniche, basta leggerla nel testo inserito
negli Annali del cardinale Baronio, per giudicarla falsa: in essa la scarna e
fin troppo essenziale notizia del Venerabile Beda diviene una ridondante
narrazione di gusto barocco, una prolissa apologia trionfalistica cui partecipano,
accanto al Re immenso gaudio perfusus, i vescovi di tutte le sue città e
l’intero clero del regno che, ai tempi di Liutprando, salvo Roma e poche altre
terre, comprendeva praticamente l’intera Italia continentale (ed è un po’
difficile pensarli tutti a Genova in Sarzano - tra l’altro la piazza allora
neppure esisteva - o addirittura a Savignone), in un contorno fatto da immense
moltitudini festanti. PIETRO BAROZZI, Savignone: due appunti di
carnet, Novinostra, n. 1, marzo 1996.
“Liutprand fu uomo di gran saggezza, prudente nel decidere, molto pio e amante della pace, molto forte m
guerra e clemente coi delinquenti casto, pudico, oratore sempre pronto,
generoso nelle elemosine, quasi ignaro di lettere e tuttavia degno di stare
alla pari coi filosofi, benché quasi ignaro di lettere, nutrì il suo popolo e
ne migliorò le leggi. Morì dopo trentun anni e sette mesi di regno”. PAULUS
WARNEFRID (Paolo Diacono), Historia Langobardorum,
VI, 58.
L’Associazione Culturale liutprand è nata per raccogliere e diffondere testimonianze ed
espressioni di vita, cultura e storia locale, nell'intento di scoprire e
diffondere la storia e le tradizioni di Pavia e del suo territorio, sempre in
un’ottica interculturale.
La questione, quindi, è soltanto argomento di fede e
tradizione. Ma, se non interessa la storia, resta interessante per la
geografia.
Liutprando aveva grandi idee: dedicò il suo lungo regno al tentativo di fondere
Germani e Latini in un unico popolo per superare la sterile situazione d’un
paese nel quale la maggioranza costituita dagli autoctoni doveva sopportare il
dominio di una minoranza violenta di invasori. Individuata nell’unità religiosa
la spinta adatta ad ottenere tale fine, egli si mostra sempre devotissimo: in
questa prospettiva va inquadrato il suo intervento a proposito delle spoglie di
Sant’Agostino; ed è ovvio che una sua partecipazione diretta agli eventi
politicamente gli avrebbe fatto gioco, specie se coronata da uno spettacolare
miracolo e da un pio voto. E’ quindi nella logica - pur se non nella storia -
un viaggio di Liutprando fino a Genova, o anche fino a Savignone: il potere sa
sempre come modificare i fatti ed anche come crearli da nulla”.