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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Giovanni Boccaccio

TORELLO DA STRADA

e il Mago del Saladino

Torello da Strada fu un personaggio storico di rilievo, che visse nel sec. XIII. Nobile pavese, la sua famiglia possedeva le terre e il Castello di Zerbolò.

Egli visse alla corte di Federico II, compose poesie nello stile dei trovatori e nel 1221 divenne podestà di Parma. In quella città fu scomunicato per aver voluto costruire il Palazzo comunale, in contrasto col vescovo della città. A ricordo di ciò, accanto al Palazzo del Comune fu eretto un torello di marmo, poi raffigurato anche negli stendardi della città. In seguito fu podestà di Firenze (1233), Pisa (1234) e di Avignone (1237).

Il personaggio divenne talmente famoso per saggezza, ricchezza e nobiltà (anche d’animo), che Giovanni Boccaccio gli dedicò una novella del Decameron, dalla quale citiamo ampi estratti.

G. BOCCACCIO, Decameron [IX]

... secondo che alcuni affermano, al tempo dello ‘mperador Federigo primo,... il Saladino, valentissimo signore ed allora soldano di Babilonia,... seco propose di voler personalmente vedere gli apparecchiamenti de’ signori cristiani a quel passaggio, per meglio poter provvedersi. Ed ordinato in Egitto ogni suo fatto, sembianti faccendo d’andare in pellegrinaggio, con due de’ suoi maggiori e più savi uomini e con tre famigliari solamente, in forma di mercatante si mise In cammino; ed avendo cerche molte province cristiane, e per Lombardia cavalcando per passare oltre a’ monti, avvenne che, andando da Melano a Pavia ed essendo già vespro, si scontrarono in un gentile uomo il cui nome era messer Torello di Strà da Pavia, il quale con suoi famigliari e con cani e con falconi se n’andava a dimorare ad un suo bel luogo il quale sopra il Tesino aveva. Li quali come messer Torel vide, avvisò che gentili uomini e stranier fossero, e disiderò d’onorargli; per che, domandando il Saladino un de’ suoi famigliari quanto ancora avesse di quivi a Pavia e se ad ora giugner potesser d’entrarvi, non lascia rispondere al famigliar, ma rispose egli:

– Signori, voi non potrete a Pavia pervenire ad ora che dentro possiate entrare.

– Adunque, disse il Saladino, piacciavi d’insegnarne, per ciò che stranier siamo, dove noi possiamo meglio albergare. –

Messer Torello disse:

– Questo farò volentieri. Io era testé in pensiero di mandare un di questi miei infino vicin di Pavia per alcuna cosa; io nel manderò con voi, ed egli vi conducerà in parte dove voi albergherete assai convenevolmente. –

Ed al più discreto de’ suoi accostatosi, gl’impose quello che egli avesse a fare, e mandòl con loro; ed egli al suo luogo andatosene, prestamente, come si poté il meglio, fece ordinare una bella cena e metter le tavole in un suo giardino; e questo fatto, sopra la porta se ne venne ad aspettargli.

Il famigliare, ragionando co’ gentili uomini di diverse cose, per certe strade gli trasviò ed al luogo del suo signore, senza che essi se n’accorgessero, condotti gli ebbe; li quali come messer Torel vide, tutto a pié fattosi loro incontro, ridendo disse: – Signori, voi siate i molto ben venuti...

Il Saladino ed i compagni ed i famigliari tutti sapevan latino, per che molto bene intendevano ed erano intesi, e pareva a ciascun di loro che questo cavalier fosse il più piacevole ed il più costumato uomo e quegli che meglio ragionasse che alcuno altro che ancora n’avesser veduto...

Venuto il giorno, i gentili uomini si levarono, co’ quali messer Torello montato a cavallo, e fatti venire i suoi falconi, ad un guazzo vicin gli menò, e mostrò loro come essi volassero; ma domandando il Saladino d’alcuno che a Pavia ed al migliore albergo gli conducesse, disse messer Torello:

– Io sarò desso, per ciò che esser mi vi conviene. –

Costoro, credendolsi, furon contenti ed insieme con lui entrarono in cammino; ed essendo già terza, ed essi alla città pervenuti, avvisando d’essere al migliore albergo inviati, con messer Torello alle sue case pervennero, dove già ben cinquanta de’ maggior cittadini eran venuti per ricevere i gentili uomini, a’ quali subitamente furon dintorno a’ freni ed alle staffe. La qual cosa il Saladino ed i compagni veggendo, troppo ben s’avvisaron ciò che era, e dissono:

– Messer Torello, questo non è ciò che noi v’avevam domandato: assai n’avete questa notte passata fatto, e troppo più che noi non vagliamo; per che acconciamente ne potevate lasciare andare al cammin nostro... E quantunque il Saladino ed i compagni fossero gran signori usi di veder grandissime cose, nondimeno si maravigliarono essi molto di questa, e lor pareva delle maggiori, avendo rispetto alla qualità del cavaliere, il qual sapevano che era cittadino e non signore... La qual cosa veggendo il Saladino, rivolto a’ suoi compagni disse:

– Io giuro a Dio che più compiuto uom né più cortese né più avveduto di costui non fu mai; e se li re cristiani son così fatti re verso di sé chente costui è cavaliere, al soldano di Babilonia non ha luogo l’aspettarne pure un, non che tanti quanti, per addosso andargliene, veggiam che s’apparecchiano! –

Ma sappiendo che il rinunziargli non avrebbe luogo, assai cortesemente ringraziandonelo, montarono a cavallo. Messer Torello con molti compagni gran pezza di via gli accompagnarono fuori della città, e quantunque al Saladino il partirsi da messer Torello gravasse, tanto già innamorato se n’era, pure, strignendolo l’andata, il pregò che indietro se ne tornasse; il quale, quantunque duro gli fosse il partirsi da loro, disse: – Signori, io il far poi che vi piace, ma così vi vo’ dire: io non so chi voi siete, né di saperlo più che vi piaccia addomando, ma chi che voi vi siate, che voi siate mercatanti non lascerete voi per credenza a me questa volta; ed a Dio v’accomando... Partissi adunque il Saladino ed i compagni, con grandissimo animo, se vita gli durasse e la guerra la quale aspettava nol disfacesse, di fare ancora non minore onore a messer Torello che egli a lui fatto avesse; e molto e di lui e della sua donna e di tutte le sue cose ed atti e fatti ragionò co’ compagni, ogni cosa più commendando.

Ma poi che tutto il Ponente non senza gran fatica ebbe cercato, entrato in mare, co’ suoi compagni se ne tornò in Alessandria, e pienamente informato, si dispose alla difesa. Messer Torello se ne tornò in Pavia, ed in lungo pensier fu chi questi tre esser potessero, né mai al vero non aggiunse né s’appressò. Venuto il tempo del passaggio e faccendosi l’apparecchiamento grande per tutto, messer Torello, nonostanti i prieghi della sua donna e le lagrime, si dispose ad andarvi del tutto; ed avendo ogni appresto fatto ed essendo per cavalcare, disse alla sua donna, la quale egli sommamente amava:

– Donna, come tu vedi, io vado in questo passaggio sì per onor del corpo e sì per salute dell’anima; io ti raccomando le nostre cose ed il nostro onore, e per ciò che io sono dell’andar certo, e del tornare, per mille casi che posson sopravvenire, niuna certezza ho, voglio io che tu mi facci una grazia: che che di me s’avvenga, ove tu non abbi certa novella della mia vita, che tu m’aspetti uno anno ed un mese ed un dì senza rimaritarti, incominciando da questo dì che io mi parto. –

La donna, che forte piagneva, rispose:

– Messer Torello, io non so come io mi comporterò il dolore nel qual, partendovi, voi mi lasciate; ma dove la mia vita sia più forte di lui ed altro di voi avvenisse, vivete e morite sicuro che lo viverò e morrò moglie di messer Torello e della sua memoria. –

Alla qual messer Torel disse: –

Donna, certissimo sono che, quanto in te sarà. che questo che tu mi prometti avverrà; ma tu se’ giovane donna e se’ bella e se’ di gran parentado, e la tua vertù è molta ed è conosciuta per tutto; per la qual cosa io non dubito punto che molti grandi e gentili uomini, se niente di me si suspicherà, non ti domandino a’ tuoi fratelli e parenti, dagli stimoli de’ quali, quantunque tu vogli, non ti potrai difendere e per forza ti converrà compiacere a’ voler loro; e questa è la cagion per la quale io questo termine e non maggior ti domando. –

La donna disse: – Io farò ciò che io potrò di quello che detto v’ho; e quando pure altro far mi convenisse, io v’ubbidirò, di questo che m’imponete, certamente. Priego io Iddio che a così fatti termini né voi né me rechi a questi tempi. –

Finite le parole, la donna piagnendo abbracciò messer Torello, e tràttosi di dito uno anello, gliele diede dicendo: – Se egli avviene che io muoia prima che io vi riveggia, ricòrdivi di me quando il vedrete. – Ed egli prèsolo, montò a cavallo, e detto ad ogni uomo addio, andò a suo viaggio; e pervenuto a Genova con sua compagnia, montato in galea, andò via, ed in poco tempo pervenne ad Acri e con l’altro esercito de’ cristian si congiunse. Nel quale quasi a mano a man cominciò una grandissima infermeria e mortalità, la qual durante, qual che si fosse l’arte o la fortuna del Saladino, quasi tutto il rimaso degli scampati cristiani da lui a man salva fûr presi, e per molte città divisi ed imprigionati; tra’ quali presi, messer Torello fu uno, ed in Alessandria menato in prigione. Dove non essendo conosciuto e temendo esso di farsi conoscere, da necessità costretto, si diede a conciare uccelli, di che egli era grandissimo maestro; e per questo a notizia venne del Saladino, laonde egli di prigione il trasse e rltennelo per suo falconiere. Messer Torello, che per altro nome che il cristiano dal Saladino non era chiamato, il quale egli non riconosceva né il soldan lui, solamente in Pavia l’animo avea e più volte di fuggirsi avea tentato, né gli era venuto fatto; per che esso, venuti certi Genovesi per ambasciadori al Saladino per la ricompera di certi lor cittadini, e dovendosi partire, pensò di scrivere alla donna sua come egli era vivo ed a lei come più tosto potesse tornerebbe, e che ella l’attendesse; e così fece, e caramente pregò un degli ambasciatori, che conoscea, che facesse che quelle alle mani dell’abate di San Pietro in Cieldoro, il quale suo zio era, pervenissero.

Ed in questi termini stando messer Torello, avvenne un giorno che, ragionando con lui il Saladino di suoi uccelli, messer Torello cominciò a sorridere e fece uno atto con la bocca il quale il Saladino, essendo a casa sua a Pavia, aveva molto notato, per lo quale atto al Saladino tornò alla mente messer Torello; e cominciò fiso a riguardarlo e parvegli desso; per che lasciato il primo ragionamento, disse: – Dimmi cristiano: di che paese se’ tu di Ponente? – Signor mio, – disse messer Torello, – io son lombardo, d’una città chiamata Pavia, povero uomo e di bassa condizione. – Come il Saladino udì questo, quasi certo di quel che dubitava, tra sé lieto disse: – Dato m’ha Iddio tempo di mostrare a costui quanto mi fosse a grado la sua cortesia! – E senza altro dire, fattisi i suoi vestimenti in una camera acconciare, vel menò dentro, e disse: – Guarda, cristiano, se tra queste robe n’è alcuna che tu vedessi già mai. – Messer Torello cominciò a guardare e vide quelle che al Saladino aveva la sua donna donate, ma non estimò dover potere essere che desse fossero, ma tuttavia rispose: – Signor mio, niuna ce ne conosco; è ben vero che quelle due somiglian robe di che io già con tre mercatanti che a casa mia capitaron, vestito ne fui. – Allora il Saladino, più non potendo tenersi, teneramente l’abbracciò, dicendo: – Voi siete messer Torel di Strà, ed io son l’un de’ tre mercatanti a’ quali la donna vostra donò queste robe; ed ora è venuto il tempo di far certa la vostra credenza qual sia la mia mercatantìa, come nel partirmi da voi dissi che potrebbe avvenire. – Messer Torello, questo udendo, cominciò ad esser lietissimo ed a vergognarsi: ad esser lieto d’aver avuto così fatto oste, a vergognarsi che poveramente gliele pareva aver ricevuto; a cui il Saladin disse: – Messer Torello, poi che Iddio qui mandato mi v’ha; pensate che non io oramai, ma voi qui siate il signore. –

E fattasi la festa insieme grande, di reali vestimenti il fe’ vestire, e, nel cospetto menatolo di tutti i suoi maggiori baroni e molte cose in laude del suo valor dette, comandò che da ciascun che la sua grazia avesse cara, così onorato fosse come la sua persona; il che da quindi innanzi ciascun fece, ma molto più che gli altri i due signori li quali compagni erano stati del Saladino in casa sua. L’altezza della sùbita gloria nella quale messer Torel si vide, alquanto le cose di Lombardia gli trasse della mente, e massimamente per ciò che sperava fermamente le sue lettere dovere essere al zio pervenute.

Era nel campo o vero esercito de’ cristiani, il dì che dal Saladin furon presi, morto e sepellito un cavalier provenzale di piccol valore il cui nome era messer Torel di Dignes, per la qual cosa, essendo messer Torel di Strà per la sua nobiltà per l’esercito conosciuto, chiunque udì dire: "Messer Torello è morto", credette di messer Torel di Strà e non di quel di Dignes; ed il caso, che sopravvenne, della presura, non lasciò sgannar gl’ingannati. Per che molti Italici tornarono con questa novella, tra’ quali furon de’ sì presuntuosi, che ardiron di dire sé averlo veduto morto ed essere stati alla sepoltura; la qual cosa saputa dalla donna e da’ parenti di lui fu di grandissima ed inestimabile doglia cagione, non solamente a loro, ma a ciascuno che conosciuto l’avea. Lungo sarebbe a mostrare qual fosse e quanto il dolore e la tristizia ed il pianto della sua donna; la quale, dopo alquanti mesi che con tribulazion continua doluta s’era, ed a men dolersi avea cominciato, essendo ella da’ maggiori uomini di Lombardia domandata, da’ fratelli e dagli altri suoi parenti fu cominciata a sollecitar di maritarsi, il che ella molte volte e con grandissimo pianto avendo negato. costretta, alla fine le convenne far quello che vollero i suoi parenti, con questa condizione, che ella dovesse stare senza a marito andarne tanto quanto ella aveva promesso a messer Torello. Mentre in Pavia eran le cose della donna in questi termini, e già forse otto dì al termine del doverne ella andare a marito eran vicini, avvenne che messer Torello in Alessandria vide un dì uno, il quale veduto avea con gli ambasciador genovesi montar sopra la galea che a Genova ne venìa; per che, fattolsi chiamare, il domandò che viaggio avuto avessero e quando a Genova fosser giunti. Al quale costui disse:

– Signor mio, malvagio viaggio fece la galea, sì come in Creti sentii, là dove io rimasi; per ciò che, essendo ella vicina di Cicilia, si levò una tramontana pericolosa che nelle secche di Barberia la percosse, né ne scampò testa, ed intra gli altri, due miei fratelli vi perirono. –

Messer Torello, dando alle parole di costui fede, che eran verissime, e ricordandosi che il termine ivi a pochi dì finiva da lui domandato alla sua donna, ed avvisando niuna cosa di suo stato doversi sapere a Pavia, ebbe per costante la donna dovere essere rimaritata; di che egli in tanto dolor cadde, che, perdutone il mangiare ed a giacer postosi, diliberò di morire. La qual cosa come il Saladin sentì, che sommamente l’amava, venne da lui; e dopo molti prieghi e grandi fattigli, saputa la cagion del suo dolore e della sua infermità, il biasimò molto che avanti non gliele aveva detto, ed appresso il pregò che si confortasse, affermandogli che, dove questo facesse, egli adopererebbe sì, che egli sarebbe in Pavia al termine dato; e dissegli come. Messer Torello, dando fede alle parole del Saladino, ed avendo molte volte udito dire che ciò era possibile e fatto s’era assai volte, s’incominciò a confortare ed a sollecitare il Saladino che di ciò si diliberasse.

Il Saladino ad un suo nigromante, la cui arte già espermentata aveva, impose che egli vedesse via come messer Torello sopra un letto in una notte fosse portato a Pavia; a cui il nigromante rispose che ciò saria fatto, ma che egli per ben di lui il facesse dormire. Ordinato questo, tornò il Saladino a messer Torello, e trovandol del tutto disposto a voler pure essere in Pavia al termine dato, se esser potesse, e se non potesse, a voler morire, gli disse così: – Messer Torello, se voi affettuosamente amate la donna vostra e che ella d’altrui non divenga dubitate, sallo Iddio che io in parte alcuna non ve ne so riprendere, per ciò che di quante donne mi parve veder mai, ella è colei li cui costumi, le cui maniere ed il cui abito, lasciamo star la bellezza che è fior caduco, più mi paion da commendare e da aver care. Sarebbemi stato carissimo, poi che la fortuna qui v’aveva mandato, che quel tempo che voi ed in viver dobbiamo, nel governo del regno che io tengo, parimente signori, vivuti fossimo insieme; e se questo pur non mi doveva esser conceduto da Dio, dovendovi questo cader nell’animo, o di morire o di ritrovarvi al termine posto in Pavia, sommamente avrei disiderato d’averlo saputo a tempo che io con quello onore, con quella grandezza, con quella compagnia che la vostra vertù merita v’avessi fatto porre a casa vostra; il che poi che conceduto non m’è, e voi pur disiderate d’esser là di presente, come io posso, nella forma che detto v’ho, ve ne manderò. –

Al quale messer Torel disse: – Signor mio, senza le vostre parole, m’hanno gli effetti assai dimostrata della vostra benivolenza, la quale mai da me in sì suppremo grado non fu meritata, e di ciò che voi dite, eziandio non dicendolo, vivo e morrò certissimo; ma poi che così preso ho per partito, io vi priego che quello che mi dite di fare si faccia tosto, per ciò che domane è l’ultimo dì che io debbo essere aspettato.– Il Saladino disse che ciò senza fallo era fornito; ed il seguente dì, attendendo di mandarlo via la vegnente notte, fece il Saladin fare in una gran sala un bellissimo e ricco letto di materassi, tutti, secondo la loro usanza, di velluti e di drappi ad oro, e fecevi por suso una coltre lavorata a certi compassi di perle grossissime e di carissime pietre preziose, la qual fu poi di qua stimata infinito tesoro, e due guanciali quali a così fatto letto si richiedeano; e questo fatto, comandò che a messer Torello, il quale era già forte, fosse messa indosso una roba alla guisa saracinesca, la più ricca e la più bella cosa che mai fosse stata veduta per alcuno, ed in testa alla lor guisa una delle sue lunghissime bende gli fé ravvolgere. Ed essendo già l’ora tarda, il Saladino con molti de’ suoi baroni nella camera là dove messer Torello era, se n’andò, e postoglisi a sedere allato, quasi lagrimando, a dir cominciò:

– Messer Torello, l’ora che da voi dividermi dée, s’appressa, e per ciò che io non posso né accompagnarvi né farvi accompagnare, per la qualità del cammino che a fare avete, che nol sostiene, qui in camera da voi mi conviene prender commiato, al qual prendere venuto sono. E per ciò, prima che io a Dio v’accomandi, vi priego per quello amore e per quella amistà la quale è tra noi, che di me vi ricordi, e se possibile è, anzi che i nostri tempi finiscano, che voi, avendo in ordine poste le vostre cose di Lombardia, una volta almeno a vedermi vegnate, acciò che io possa in quella, essendomi d’avervi veduto rallegrato, quel difetto supplire che ora per la vostra fretta mi convien commettere; ed infino che questo avvenga non vi sia grave visitarmi con lettere e di quelle cose che vi piaceranno richiedermi, che più volentier per voi che per alcuno uom che viva farò certamente. – Messer Torello non poté le lagrime ritenere, e per ciò, da quelle impedito, con poche parole rispose, impossibil cosa esser che mai i suoi benefici ed il suo valore di mente gli uscissero, e che senza fallo quello che egli comandava farebbe, dove tempo gli fosse prestato.

Per che il Saladino, teneramente abbracciatolo e baciatolo, con molte lagrime gli disse: – Andate con Dio – e della camera s’uscì, e gli altri baroni appresso tutti da lui s’accommiatarono e col Saladino in quella sala ne vennero, là dove egli aveva fatto il letto acconciare. Ma essendo già tardi ed il nigromante aspettando lo spaccio ed affrettandolo, venne un medico con un beveraggio, e fattogli vedere che per fortificamento di lui gliele dava, gliel fece bere; né stette guari, che addormentato fu. E così dormendo, fu portato per comandamento del Saladino in sul bel letto sopra il quale esso una grande e bella corona pose di gran valore, e sì la segnò, che apertamente fu poi compreso, quella dal Saladino alla donna di messer Torello esser mandata.

Appresso mise in dito a messer Torello uno anello nel quale era legato un carbunculo tanto lucente, che un torchio acceso pareva, il valor del quale appena si poteva stimare; quindi gli fece una spada cignere il cui guernimento non si saria di leggeri apprezzato, ed oltre a questo, un fermaglio gli fe’ davanti appiccare, nel quale erano perle mai simili non vedute con altre care pietre assai, e poi da ciascun de’ lati di lui due grandissimi bacin d’oro pieni di doble fe’ porre; e molte reti di perle ed anella e cinture ed altre cose, le quali lungo sarebbe a raccontare, gli fece metter da torno. E questo fatto, da capo baciò messer Torello ed al nigromante disse che si spedisse; per che incontanente in presenza del Saladino il letto con tutto messer Torello fu tolto via, ed il Saladino co’ suoi baroni di lui ragionando si rimase. Era già nella chiesa di San Pietro in Cieldoro di Pavia, sì come domandato avea, stato posato messer Torello con tutti i sopraddetti gioielli ed ornamenti, ed ancor si dormiva, quando, sonato già il matutino, il sagrestano nella chiesa entrò con un lume in mano, ed occorsogli subitamente di vedere il ricco letto, non solamente si maravigliò, ma avuta grandissima paura, indietro fuggendo si tornò; il quale l’abate ed i monaci veggendo fuggire, si maravigliarono e domandaron della cagione. Il monaco la disse. – Oh! – disse l’abate – e sì non se’ tu oggimai fanciullo né se’ in questa chiesa nuovo, che tu così leggermente spaventarti debbi; ora andiam noi: veggiamo chi t’ha fatto baco. – Accesi adunque più lumi, l’abate con tutti i suoi monaci nella chiesa entrati, videro questo letto così maraviglioso e ricco, e sopra quello il cavalier che dormiva; e mentre dubitosi e timidi, senza punto al letto accostarsi, le nobili gioie riguardavano, avvenne che, essendo la vertù del beveraggio consumata, che messer Torel, destatosi, gittò un gran sospiro.

Li monaci come questo videro, e l’abate, con loro, spaventati e gridando: – Domine, aiutaci! – tutti fuggirono. Messer Torello, aperti gli occhi e da torno guardatosi, conobbe manifestamente sé essere là dove al Saladino domandato avea, di che forte fu seco contento; per che, a seder levatosi e partitamente guardando ciò che da torno avea, quantunque prima avesse la magnificenza del Saladin conosciuta, ora gli parve maggiore, e più la conobbe. Nonpertanto, senza altramenti mutarsi, sentendo i monaci fuggire ed avvisatosi il perché, cominciò per nome a chiamar l’abate ed a pregarlo che egli non dubitasse, per ciò che egli era Torel suo nepote. L’abate, udendo questo, divenne più pauroso, come colui che per morto l’avea dimolti mesi innanzi; ma dopo alquanto, da veri argomenti rassicurato, sentendosi pur chiamare, fattosi il segno della santa croce, andò a lui; al qual messer Torel disse: – O padre mio, di che dubitate voi? Io son vivo, la Dio mercé, e qui d’oltremar ritornato. – L’abate, con tutto che egli avesse la barba grande ed in abito arabesco fosse, pur dopo alquanto il raffigurò, e rassicuratosi tutto, il prese per la mano, e disse: – Figliuol mio, tu sii il ben tornato! –

E seguitò: – Tu non ti déi maravigliare della nostra paura, per ciò che in questa terra non ha uomo che non creda fermamente che tu morto sii, tanto che io ti so dire che madonna Adalieta tua moglie, vinta da’ prieghi e dalle minacce de’ parenti suoi e contra suo volere, è rimaritata; e questa mattina ne dée ire al nuovo marito, e le nozze e ciò che a festa bisogno fa, è apparecchiato. –

Messer Torello, levatosi d’in sul ricco letto e fatta all’abate ed a’ monaci maravigliosa festa, ognun pregò che di questa sua tornata con alcun non parlasse infino a tanto che egli non avesse una sua bisogna fornita. Appresso questo, fatte le ricche gioie porre in salvo, ciò che avvenuto gli fosse infino a quel punto raccontò all’abate. L’abate, lieto delle sue fortune, con lui insieme rendé grazie a Dio. Appresso questo, domandò messer Torel l’abate, chi fosse il nuovo marito della sua donna.

S.Pietro in ciel d'oro

L’abate gliele disse; a cui messer Torel disse: – Avanti che di mia tornata si sappia, io intendo di veder che contenenza fia quella di mia mogliere in queste nozze; e per ciò, quantunque usanza non sia le persone religiose andare a così fatti conviti, io voglio che per amor di me voi ordiniate che noi v’andiamo. – L’abate rispose che volentieri; e come giorno fu fatto, mandò al nuovo sposo, dicendo che con un compagno voleva essere alle sue nozze; a cui il gentile uom rispose che molto gli piacea. Venuta adunque l’ora del mangiare, messer Torello, in quello abito che era, con l’abate se n’andò alla casa del novello sposo, con maraviglia guatato da chiunque il vedeva, ma riconosciuto da nullo; e l’abate a tutti diceva, lui essere un saracino mandato dal soldano al re di Francia ambasciadore.

Fu adunque messer Torello messo ad una tavola appunto di rimpetto alla donna sua, la quale egli con grandissimo piacer riguardava; e nel viso gli pareva turbata di queste nozze.

Ella similmente alcuna volta guardava lui, non già per riconoscenza alcuna che ella n’avesse, ché la barba grande e lo strano abito e la ferma credenza che aveva che egli fosse morto, gliele toglievano, ma per la novità dell’abito. Ma poi che tempo parve a messer Torello di volerla tentare se di lui si ricordasse, recatosi in mano l’anello che dalla donna nella partita gli era stato donato, si fece chiamare un giovanetto che davanti a lei serviva, e dissegli: – Di’ da mia parte alla nuova sposa che nelle mie contrade s’usa, quando alcun forestier, come io son qui, mangia al convito d’alcuna sposa nuova, come ella è, che, in segno d’aver caro che egli venuto vi sia a mangiare, ella la coppa con la qual bee gli manda piena di vino; con la qual poi che il forestiere ha bevuto quello che gli piace, ricoperchiata la coppa, la sposa bee il rimanente. – Il giovanetto fe’ l’ambasciata alla donna, la quale, sì come costumata e savia, credendo costui essere un gran barbassoro, per mostrare d’avere a grado la sua venuta, una gran coppa dorata la qual davanti avea, comandò che lavata fosse ed empiuta di vino e portata al gentile uomo; e così fu fatto. Messer Torello, avendosi l’anello di lei messo in bocca, sì fece, che bevendo il lasciò cader nella coppa, senza avvedersene alcuno, e poco vino lasciatovi, quella ricoperchiò e mandò alla donna. La quale presala, acciò che l’usanza di lui compiesse, scoperchiata, la si mise a bocca e vide l’anello e senza dire alcuna cosa alquanto il riguardò; e riconosciuto che egli era quello che dato avea nel suo partire a messer Torello, presolo e fiso guardato colui il qual forestier credeva, e già conoscendolo, quasi furiosa fosse, gittata in terra la tavola che davanti aveva, gridò:

– Questi è il mio signore, questi veramente è messer Torello! – E corsa alla tavola alla quale esso sedeva, senza avere riguardo a’ suoi drappi o a cosa che sopra la tavola fosse, gittatasi oltre quanto poté, l’abbracciò strettamente, né mai dai suo collo fu potuta, per detto o per fatto d’alcun che quivi fosse, levare, infino a tanto che per messer Torello non le fu detto che alquanto sopra sé stesse, per ciò che tempo da abbracciarlo le sarebbe ancora prestato assai. Allora ella dirizzatasi, essendo già le nozze tutte turbate ed in parte più liete che mai per lo racquisto d’un così fatto cavaliere, pregandone egli, ogni uomo stette cheto; per che messer Torello dal dì della sua partita infino a quel punto ciò che avvenuto gli era a tutti narrò, conchiudendo che al gentile uomo, il quale, lui morto credendo, aveva la sua donna per moglie presa, se egli essendo vivo la si ritoglieva, non doveva spiacere. Il nuovo sposo, quantunque alquanto scornato fosse, liberamente e come amico rispose che delle sue cose era nel suo voler quel farne che più gli piacesse La donna e l’anella e la corona avute dal nuovo sposo quivi lasciò, e quello che della coppa aveva tratto si mise, e similmente la corona mandatale dal soldano ed usciti dalla casa dove erano, con tutta la pompa delle nozze infino alla casa di messer Torel se n’andarono, e quivi gli sconsolati amici e parenti e tutti i cittadini che quasi per un miracolo il riguardavano, con lunga e lieta festa racconsolarono.

Messer Torello, fatta delle sue care gioie parte ed a colui che avute aveva le spese delle nozze ed all’abate ed a molti altri, e per più d’un messo significata la sua felice repatriazione al Saladino, suo amico e suo servidore ritenendosi, più anni con la sua valente donna poi visse, più cortesia usando che mai. Cotale adunque fu la fine delle noie di messer Torello e di quelle della sua cara donna, ed il guiderdone delle lor liete e preste cortesie. Le quali molti si sforzan di fare, che, benché abbian di che, sì mal farle sanno, che prima le fanno assai più comperar che non vagliono, che fatte l’abbiano; per che, se loro merito non ne segue, né essi né altri maravigliarsene dée.

Pubblicato 03/07/2008 06:21:32