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AUTOCOSTRUZIONE IN SENEGAL
per proteggere un quartiere dall'erosione marina Degoo ngir ligeey Jokkul nella lingua wolof, usata in Senegal, significa "mettiamoci insieme e lavoriamo per Diokoul". Fu questo il nome di un progetto di partecipazione popolare per la gestione dell'ambiente, avviato in un quartiere urbano del Senegal nel 1983.
Il progetto nacque per iniziativa di ENDA Tiers-Monde, un'organizzazione non governativa internazionale, con sede a Dakar, che si occupa di studi e progetti per la cooperazione allo sviluppo. I fondi - pochi, per la verità - furono offerti da agenzie per la cooperazione di Svizzera e Francia. Coordinò l'animazione e diresse i lavori l'architetto italiano Alberto Arecchi. La popolazione di un quartiere di pescatori, alla periferia della città senegalese di Rufisque, si mobilitò per pianificare le infrastrutture del quartiere e per difenderlo dall'erosione del mare, che ogni anno faceva retrocedere la spiaggia di oltre un metr, distruggendo case e moschee. Il lavoro durò per diversi anni, a più riprese, ed ottenne gli effetti sperati: le ondate di alta marea, anziché asportare la sabbia della costa, la "ripascevano", come si dice in gergo tecnico, ossia depositavano la sabbia che portavano in sospensione, tanto che la popolazione si mise a vendere sabbia alle imprese di costruzione della capitale.
Diokoul è un villaggio di pescatori Lebù, divenuto nel tempo un quartiere della città di Rufisque, scalo commerciale, posto circa 35 km ad est della capitale Dakar. Rufisque fiorì negli ultimi decenni del sec. XIX, come scalo marittimo della "tratta delle arachidi".
Gli abitanti di questo quartiere hanno uno stretto rapporto di interdipendenza con il mare, ma si trovano spesso costretti a doversene difendere. I vecchi ricordano di avere giocato nella loro infanzia su un'ampia spiaggia, poi ridotta a una stretta striscia di sabbia coperta di rifiuti, davanti alle ultime case del villaggio. Chi vive in queste case conosce da sempre il lento ritirarsi della spiaggia, specialmente durante le alte maree dell'hivernage (la nostra stagione estiva), quando l'acqua arriva ad invadere le case e a minacciare le moschee. Sono importanti anche i problemi derivanti dall'inquinamento, dalla mancanza di servizi igienici e dalla densità della popolazione, giunta a livelli quasi intollerabili.
A Diokoul, la precarietà dell'ambiente contrasta con il radicamento della popolazione. Più di tre quarti degli abitanti vivono qui da due generazioni e oltre il 40% da almeno tre. Le abitazioni sono costruite in muratura di blocchetti.
Il vero problema è la mancanza di garanzia di occupazione dei suoli, in assenza di un vero e proprio Catasto. La densità è di 370 abitanti per ettaro (alta, se si pensa che le abitazioni hanno solo un piano). Quando una famiglia di una trentina di persone è addensata in un lotto di 350 m2, si raggiunge una mancanza quasi assoluta di intimità e la carenza dello spazio vitale, con un grado elevato di promiscuità. Il Piano Regolatore ufficiale prevedeva il trasferimento degli abitanti da altre parti, ma ciò li avrebbe privati della loro fondamentale fonte di sopravvivenza, poiché essi sono per lo più pescatori.
Nel 1982 nel quartiere mancavano gli spazi per i servizi, le scuole erano insufficienti (una sola scuola per una popolazione di 18.000 abitanti in continua crescita). Al tempo del progetto non esistevano ambulatori né altri servizi sanitari in tutta la zona ovest di Rufisque, ad eccezione del dispensario di Diokoul Kher che nel 1982 era privo persino di allacciamento telefonico e di un'ambulanza. Di fronte alla carenza di servizi sanitari moderni, la medicina tradizionale resta viva. La distribuzione d'acqua potabile attraverso le fontanelle pubbliche era assolutamente insufficiente e causava continue code; inoltre l'incuria in cui erano lasciate provocava allagamenti nelle vie, che diventavano focolai di malaria e di altre malattie infettive. Erano carenti i servizi igienici e la massima parte della popolazione usava la spiaggia per le proprie necessità. I ruscelli che attraversavano il quartiere erano veri e propri scarichi di fogna, nei quali l'acqua ristagnanva putrida, intorno ai quali giocavano i bambini, con tutti i pericoli conseguenti. La solidarietà tipica degli africani si era tuttavia organizzata per affrontare alcuni problemi essenziali. In alcune zone gli abitanti si erano tassati per realizzare servizi igienici collettivie docce.
La viabilità doveva essere potenziata. Si rendeva necessario elaborare un vero e proprio piano regolatore, con la partecipazione diretta della popolazione, per garantire la stabilità degli insediamenti umani e che prevedesse le infrastrutture e gli ordini di priorità in accordo con le necessità e la volontà degli abitanti stessi. Sarebbe stato un gigantesco progresso, rispetto al Piano Regolatore in vigore, che prevedeva la pura e semplice demolizione del quartiere.
La realizzazione dei progetti urbanistici e il miglioramento delle condizioni di vita sono strettamente legati alla regolarità dei redditi. Un progetto teso al miglioramento dell'ambiente urbano e delle condizioni di vita deve prevedere nuove occasioni di lavoro, anche tramite programmi di formazione professionale. Secondo i dati del censimento del 1976, solamente il 34,3% degli uomini e il 4,8 delle donne avevano un impiego (indipendenti, lavoratori domestici, salariati, apprendisti e impiegati), il 10,8 degli uomini e lo 0,45 delle donne si dichiaravano disoccupati o alla ricerca di un primo impiego. Nel 1982 la popolazione dell'intero comune di Rufisque era di 120.000 abitanti, di cui 47.300 attivi (39,4%), e l'industria locale impiegava una persona su trenta della mano d'opera potenziale. Molti erano i pendolari che lavoravano nella capitale Dakar. Parecchi muratori e manovali di Rufisque lavorano solamente una settimana al mese in media, e vi sono apprendisti autisti, pescatori, sarti, ecc. che lavorano un giorno su due, o comunque in modo irregolare. Un'attenzione particolare merita il lavoro femminile, poiché la ricerca di nuove fonti di reddito interessa tutta la popolazione. I bambini e le donne portano attivamente il loro contributo ai redditi familiari con attività non strutturate, perché marginali, esclusi dal settore del lavoro organizzato. Quasi nessuna donna a Diokoul esercita un lavoro salariato. Molte però coltivano ortaggi e praticano il piccolo commercio di generi alimentari. Esistono associazioni culturali femminili che organizzano corsi di alfabetizzazione, di ricamo, maglia, cucito, tintura e d'igiene. Queste associazioni però non riescono a coinvolgere un gran numero di donne, per il loro carattere d'ufficialità (sono in generale legate ai partiti politici. Ci sono associazioni spontanee che si chiamano tontines (una specie di casse comuni, praticate con regolarità o per occasioni particolari, come i battesimi o i matrimoni o le lotterie) e raccolgono molte donne e coprono un importante ruolo di solidarietà e di attività in quello che noi chiameremmo il "tempo libero" per le donne, ma non si traducono in vere attività economiche. I risparmi delle tontines sono generalmente destinati ad acquisti di tessuti e gioielli e alle feste. Questa consuetudine al risparmio ed alla solidarietà, ignorata dagli uomini, permette talvolta a gruppi di donne di trovare somme per degli investimenti.
La struttura sociale di un villaggio senegalese è complessa: a fianco delle istituzionale amministrative, sopravvive l'ossatura della società tradizionale: i capi consuetudinari che vigilano sul costume, gli Imam religiosi, i comitati di quartiere riconosciuti come organismi para-amministrativi e i responsabili politici che abitano nel quartiere stesso. L'organizzazione gerarchica della famiglia allargata, sviluppata su linee di parentela, governa il quartiere, agevolata dal fatto che ci si sposa anche tra cugini e spesso all'interno della famiglia stessa. Non esistono però famiglie dominanti, che detengano tutto il potere politico ed economico all'interno dei quartieri, benché quelle insediatesi per prime contino maggiormente, anche perché sono più estese. Al tempo del progetto esisteva un coordinamento tra persone che avevano studiato insieme e che non ricercavano un'effettiva partecipazione di base (o tra persone che hanno interessi in comune come i pescatori).
Ogni rione ha la propria moschea, cosicché l'intero Diokoul; che comprende cinque quartieri tradizionali, ha 5 moschee, costruite dagli abitanti con contribuzioni e lavoro volontario. Il loro mantenimento è assicurato da una autotassazione mensile della popolazione interessata. Le moschee sono autonome tra loro e la loro costruzione non beneficia, in generale, di sovvenzioni pubbliche. L'insegnamento coranico si svolge tutti i giorni della settimana dopo le ore 17 e fuori dagli orari delle scuole pubbliche. I corsi si tengono anche durante i giorni festivi (ad eccezione delle feste religiose) e le vacanze scolastiche. Il finanziamento della scuola coranica è privato. Le lezioni sono tenute dall'imam, generalmente nella piccola moschea o a fianco. Le decisioni concernenti la vita del quartiere sono prese dagli anziani nelle tradizionali "cases é palabres" (sale di riunione), poste di preferenza in riva al mare, ben ventilate, protette dal calore e dal vento eccessiv. Seduti a chiacchierare, i vecchi: controllano l'attività di pesca. Le cases à palabres sorgono in prossimità delle moschee, ma ciascuna racchiude il proprio feticcio tradizionale: sia un ramo d'albero, sia un sacchetto attentamente sigillato con scongiuri propiziatori.
I bambini giocano nei cortili delle case, ma anche nelle strade e, soprattutto, sulla spiaggia. Un terreno municipale fungeva all'epoca da campo di calcio per gli adulti e per le assemblee delle scuole di Rufisque. La mancanza di spazi organizzati per i bambini non è sentita come importante, dato il modo di vivere del quartiere tradizionale. La spiaggia è uno spazio polivalente, ove si svolgono diverse attività, come la tessitura, la riparazione delle reti e delle piroghe, l'essiccazione e la vendita del pesce. La spiaggia serve anche da WC e da deposito d'immondizie.
La nascita del progetto - Degoo ngir ligeey Jokkul
I progetti di autocostruzione a Diokoul trassero spunto da una tesi di diploma, condotta durante gli anni 1980, 1981 e 1982 da un gruppo di studenti d'Architettura del Politecnico Federale di Losanna (Svizzera), con l'appoggio di Martial Boujasson, esperto delle Nazioni Unite, già tecnico comunale a Rufisque. La tesi proponeva come prioritaria la costruzione di un sistema di moli a pettine, distanziati di circa 120 m l'uno dall'altro (una dozzina per tutta Diokoul) per fare depositare la sabbia strappata alla spiaggia dalle correnti, dirette da ovest verso est, particolarmente forti tra giugno e settembre, nella stagione di mare grosso (hivernage). A protezione del vecchio scalo di Rufisque era in costruzione, grazie a finanziamenti della cooperazione olandese, una lunga e massiccia diga, parallela alla spiaggia. Tale diga avrebbe però comportato un aggravamento del problema, perché l'erosione marina, avrebbe proseguito la sua azione al piede della diga stessa, creando un forte gradino e tendendo nel tempo a scalzarla. Con i moli a pettine, invece, il mare stesso doveva "ripascere" la spiaggia. Inoltre i pescatori non sarebbero incontrato impedimenti per le loro attività, poiché nessun ostacolo si sarebbe interposto tra il mare e la spiaggia dove si ritirano le piroghe. La pesca con le reti non ne sarebbe stata danneggiata.
L'ENDA assicurò l'assistenza tecnica necessaria. I primi contatti tra l'architetto di ENDA e gli anziani condussero, all'inizio del 1983, alla costituzione dell'Associazione per il rinnovamento dei quartieri di Diokoul. Dopo la costruzione dei moli a pettine, si intendeva procedere allo studio di un realistico Piano Regolatore "alternativo e autogestito", con l'intenzione di salvaguardare le occupazioni tradizionali del quartiere. Il progetto richiedeva fondi, ma soprattutto un grande sforzo di organizzazione del cantiere, e la manodopera gratuita degli abitanti. Nel marzo si tennero assemblee in tutti i rioni di Diokoul, per discutere il progetto. La popolazione rispose favorevolmente. Gli incontri tenuti con il prefetto di Rufisque e con i responsabili dei lavori pubblici consentirono di varare la fase operativa del progetto. Vista la pendenza della spiaggia, si prevedeva di costruire moli con due strati di gabbioni, lunghi 47 m basso e 44 alla sommità. Presso il magazzino dei Lavori Pubblici di Rufisque esistevano alcune centinaia di gabbioni metallici, utilizzabili per la protezione della spiaggia. ll progetto prevedeva circa 450 gabbioni per realizzare i primi tre moli durante la stagione 1983. Per il materiale di riempimento, furono comprate in una cava pietre di laterite, una pietra che garantisce una buona resistenza alla salinità.
Un incontro con i responsabili delle associazioni giovanili permise di posare i primi gabbioni il 7 maggio. I lavori si svolgevano durante i week-end e i giorni festivi. Le donne e i bambini collaboravano al trasporto delle pietre, sulla testa, nei cesti, con sacchi portati a mano; mentre gli uomini lavoravano al riempimento dei gabbioni. In 15 giorni furono posati e riempiti 83 gabbioni, nonostante le difficoltà d'approvvigionamento del cantiere. Le forniture di materiali, non solamente dei gabbioni metallici ma anche delle pietre di laterite per il riempimento, furono facilitate dai responsabili locali dei Lavori Pubblici e dei Servizi Tecnici Comunali. All'inizio del mese di giugno si aggiunse un altro architetto, Pekka Virtanen, volontario della cooperazione finlandese. Il 5 giugno 1983, per la giornata mondiale per l'ambiente, il progetto Diokoul fu scelto come esempio per tutto il Senegal. Le poste senegalesi stamparono per la giornata un annullo speciale, che riprendeva la fotografia con gli abitanti del quartiere che si passano le pietre di mano in mano, sulla cima del molo (qui riprodotta): una bella immagine, come simbolo di partecipazione popolare. La giornata di festa si svolse con la visita al cantiere da parte del Ministro dell'Ambiente e dell'ambasciatore svizzero, come erogatore di parte del finanziamento. Ciò stimolò un rilancio delle attività. Il 5 giugno il primo molo era terminato ed il secondo aveva raggiunto una discreta lunghezza. Durante le settimane seguenti, con l'inizio del mese di Ramadam, i lavori subirono un rallentamento, per proseguire tra alti e bassi.
Per proseguire i lavori occorreva coivolgere altre forze del quartiere. Furono intrapresi contatti diretti con le associazioni dei giovani e delle donne. L'architetto Virtanen si stabilì permanentemente a Diokoul, iper prevedere ulteriori azioni di mobilizzazione e di formazione, e fu discussa anche la possibilità di formare gruppi di autocostruzione per realizzare alloggi. Una proiezione di film e diapositive realizzati durante i lavori di costruzione dei moli, nel quartiere di Diokoul Kaw, vide la partecipazione di circa 150 persone. Si era deciso anche di aprire un nuovo sbocco al ruscello di Diokoul Kaw, prima della stagione delle pioggie, e di colmare la valletta in cui lo stesso ruscello formava una palude, fortemente inquinata, tra le ultime case del quartiere ed il cimitero. Un accordo con la SOADIP (società che raccoglieva e trattava i rifiuti) assicurò la disponibilità gratuita di circa 4000 m3 di detriti, quantità sufficiente a riempire il fossato. La scavatrice promessa dal Direttore dei Lavori Pubblici non arrivava e la stagione delle pioggie si avvicinava; così si fece ricorso ad un privato, il quale mise a disposizione del progetto la scavatrice di sua proprietà per due mezze giornate.
Nel primo anno di lavori furono completati tre moli di gabbioni e ne fu iniziato un quarto. L'hivernage, stagione delle alte maree, da giugno ad agosto del 1984, costituì il collaudo del progetto pilota. Nella zona più occidentale della spiaggia, dove erano stati costruiti i primi moli, le maree e le correnti depositarono oltre un metro e mezzo di sabbia, anziché asportarne, tanto che i gabbioni stessi erano in gran parte ricoperti. I moli facevano uno strano effetto, ricoperti come erano di alghe, ma anche di stracci e di rifiuti di vario genere, che svolazzavano sopra le onde del mare.
Nei due anni successivi, il progetto di moli a protezione della spiaggia di Diokoul fu proseguito e completato, con l'assistenza tecnica dell'architetto senegalese Malick Gaye, che aveva sostituito presso l'ENDA l'architetto Arecchi.
Gli abitanti di Diokoul ripresero a cavare la sabbia dalla loro spiaggia, per venderla alle imprese di costruzione della "Grande Dakar". Tale esito può fare riflettere, dato che il progetto era nato per rimediare ad una situazione di instabilità della spiaggia.
In realtà, gli abitanti di Diokoul e degli altri villaggi siti lungo l'incollatura della penisola di Capo Verde hanno sempre cavato dalla spiaggia sia la sabbia, sia le conchiglie che si depositano al piede delle grandi ondate di risacca (le conchiglie sono utilissime per ricavarne la calce, destinata anch'essa al mercato edilizio). Di fronte all'obiezione che la loro opera accresce l'effetto erosivo delle onde, gli abitanti della costa senegalese rispondono regolarmente: "La vendita di questi materiali è una risorsa fondamentale per la nostra vita. Se la spiaggia viene portata via, è perché Allah lo vuole, non per la nostra opera. Allah dona, Allah toglie".
A noi razionalisti occidentali questa può sembrare incoscienza, mentre si tratta di uno stimolo importante per confrontarci col significato stesso del termine "sviluppo": l'aspettativa di sopravvivenza e di sviluppo della popolazione, in quel caso, era strettamente legata all'erosione marina, ma non perché questa li privava del terreno sotto le loro case... bensì perché li privava di una risorsa economica.