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LA BASSA CASAMANCE
La Casamance è la regione geografica più meridionale della Repubblica del
Senegal, limitata a nord dalla piccola Repubblica della Gambia e a sud da
quella della Guinea Bissau. La Bassa Casamance, in particolare, che oggi è
amministrativamente indicata come regione di Ziguinchor, ne costituisce la
parte più occidentale.
Il suo clima è
di tipo sub‑guineano, con una stagione secca da novembre a maggio ed una
piovosa che inizia abitualmente in giugno per durare sino alla fine d’ottobre.
Rispetto alla media consueta di 1200 mm di precipitazioni annue, nell’ultimo
decennio si è registrato un calo della quantità di pioggia e una riduzione
della durata del periodo piovoso. Nel 1981 si è toccato un minimo di 785 mm,
quasi uguagliato nel 1983, con circa 800 mm. Alla diminuzione delle piogge si
accompagnano altri fenomeni che accentuano la tendenza alla desertificazione di
zone già fertili: il diboscamento, spesso incontrollato, gli incendi, la
prevalenza della monocoltura dell’arachide.
Oggi tutta la
Casamance è abitata da circa 900.000 persone, su una superficie di 28.350 km2,
il che equivale ad una densità media di 31,7 ab./km2. Circa il 20%
della popolazione vive in centri di tipo urbano. Il principale, Ziguinchor,
capoluogo della Bassa Casamance, conta poco più di 100.000 abitanti.
Etnicamente, la Bassa Casamance vede una prevalenza dei Diola (circa 270.000 persone), poco
islamizzati, in gran parte convertiti al cristianesimo, con nuclei importanti
che praticano le religioni tradizionali. Nella media Casamance è prevalente la
presenza: dei Mandingo islamizzati (circa 140.000 persone) e nell’alta regione
sono dominanti i Peul, o Fulani (in Casamance risiedono circa 240.000 Peul e
30.000 Toucouleur; tuttavia, trattandosi di pastori nomadi, il loro censimento
può essere soltanto indicativo). Molte sono le etnie minori, che vivono e si
spostano lungo la frontiera con la Guinea Bissau: Manjak, Mancagne, Balante
sono soltanto i ‑ruppi principali. Inoltre, nei centri politico ‑
amministrativi, si manifesta una "colonizzazione" wolof, proveniente dalle
regioni settentrionali del Senegal, e nell’alta Casamance un flusso
d’immigrazione sarakollé, pure proveniente da nord.
Negli anni 1982‑1983,
nella Bassa Casamance, si sono verificati moti indipendentisti, dovuti a
diverse cause che si intrecciavano fra loro. Un motivo di fondo etnico‑religioso
(i Diola non islamizzati si ribellano alla pressione economica e demografica
delle popolazioni vicine) si è combinato in quest’ultimo periodo con ragioni di
tipo economico, poiché la ricorrente siccità ha reso più evidenti le difficoltà
dei Diola, coltivatori di riso. E’ quindi apparsa più invadente
l’intraprendenza dei Mandingo, che si appropriano delle terre lasciate incolte
(per rotazione colturale, o per mancanza d’acqua) e vi impiantano vaste colture
di arachide, destinata alla commercializzazione. Un ulteriore motivo, di
malcontento è l’emarginazione politico‑amministrativa alla quale la
Casamance si sente assoggettata, data la distanza dalla capitale (vi sono circa
450 km da Dakar a Ziguinchor, per la via più breve, con la necessità di
attraversare in traghetto il fiume Gambia e di superare due volte la frontiera
Senegal‑Gambia).
La ribellione dei Diola ha assunto aspetti di rivolta tradizionalista,
contro un mondo rappresentato dallo Stato nazionale di tipo moderno e dalla
produzione per il commercio, che tende a soppiantare l’autosufficienza alimentare.
I risultati più immediati sono stati: là divisione della Casamance in due
regioni amministrative (quella di Ziguinchor e quella di Kolda) e una corsa di partners occidentali del Senegal a
investire in cooperazione bilaterale forti risorse in quest’area, che può
essere considerata come la “retrovia” del Sahel, la seconda linea non ancora attaccata
dalla desertificazione propriamente detta, ma soggetta a tale attacco entro
poche decine d’anni.
I Diola, che sono considerati la
popolazione di più antico insediamento nella zona, sono tradizionalmente
risicoltori. Non è possibile definire l’epoca in cui il riso è stato introdotto
in Casamance; secondo testimonianze storiche, i Diola lo coltivavano già nel XV
secolo. Nella loro società il riso è la « ricchezza della donna » e assume in
questo suo valore contenuti sacrali, legati in particolare ai riti di
fertilità. La stagione dei lavori agrari si estende per tutto il periodo delle
piogge e le operazioni sono ripartite tra gli uomini (dissodamento e lavoro
della terra) e le donne (semina, trapianto e raccolto).
Ogni villaggio diola dispone solitamente
di un’ampia gamma di sementi di riso, il che permette l’adattamento della
coltura. a terreni di tipo diverso e a diversi regimi di irrigazione, nonché un
prodotto differenziato, adatto a differenti gusti. Negli ultimi anni i servizi
del Ministero dello Sviluppo Rurale, ed in modo particolare, la SOMIVAC
(Società per la valorizzazione agricola della Casamance), hanno intrapreso
ampie campagne di promozione per sementi selezionate, adatte alla minore
piovosità. Spesso però l’introduzione di nuove varietà è stata accolta con
ostilità dai contadini: la necessità d’impiego di fertilizzanti chimici si
scontra con modelli culturali ancestrali e tende a inserire le comunità
contadine in un circuito commerciale di tipo moderno; inoltre certi tipi di
sementi obbligano a rimodellare le risaie in lotti di dimensioni più ampie, il
che sconvolge la tradizionale organizzazione sociale del lavoro, con
conseguenze difficilmente valutabili.
L’introduzione dell’Islàm da parte
delle popolazioni mandingo ha fatto aumentare la quota di lavoro femminile nei
campi presso i gruppi di Diola convertiti e ha introdotto tipi diversi di
attrezzi agricoli. Lo strumento caratteristico della risicoltura diola rimane
però sempre il kayendo, zappa‑aratro
dal manico lungo 2‑3 m, la cui pala di legno è rinforzata da una lama
metallica sagomata a forma di ferro di cavallo.
Nelle zone non inondabili, o in
prossimità della casa, si praticano altre colture: mais, manioca, qualche palma
da cocco, alberi di cola, limoni, aranci, banani e manghi, patate e miglio
alimentare.
La coltura dell’arachide, indirizzata
principalmente all’esportazione, si è diffusa con l’avanzata dei Mandingo e
dell’Islàm (per la Bassa Casamance a partire dagli anni ‘30). Negli ultimi
quindici anni la produzione di arachide ha conosciuto un forte calo, dovuto
alle fiuttuazioni del mercato e al fallimento delle cooperative di ammasso
dell’epoca senghoriana.
Come il kayendo è lo strumento tipico della risicoltura Diola, così è
tipico dei Mandingo il donkoton, zappetta
dal manico corto, che forma un angolo molto acuto con la lama, usata per
dissodare i terreni nella coltura dell’arachide. L’uso del donkoton obbliga a lavorare letteralmente piegati in due ed è
spesso causa di malformazioni croniche della colonna vertebrale.
Le risaie della Bassa Casamance sono fondamentalmente di tre tipi: risaie alte, minacciate oggi dalla penuria
d’acqua conseguente alla riduzione della piovosità; risaie medie, in generale
ben irrigate dalle acque di scorrimento; risaie “profonde” di fondovalle,
costantemente aggredite dalla risalita delle acque salate degli estuari e
dall’invasione delle mangrovie. Questi tipi non coesistono in tutte le zone, ma
per compensare il rischio dovuto alle irregolarità puviometriche e per meglio
ripartire le operazioni agricole nel periodo più lungo possibile durante la
stagione secca i contadini si sforzano di averli contemporaneamente tutti e
tre.
La sistemazione delle risaie alte e di
quelle di livello medio consiste nella costruzione
d'una scacchiera più o meno regolare, i cui iati sono costituiti da piccoli
argini di terra. Le dimensioni delle « caselle » e degli argini variano in
funzione della pendenza del terreno e dell’altezza d’acqua che si vuole
ottenere.
La sistemazione delle risaie profonde e la loro estensione
ai terreni di mangrovie rivestono particolare interesse, pe.r le tecniche
impiegate. Occorrono diversi anni per trasformare un terreno di mangrovie in
una risaia, poiché è necessario non solo sostituirvi il tipo di vegetazione, ma
anche modificarne la composizione pedologica.
La prima operazione consiste nel
circondare il perimetro da coltivare con una diga di protezione. Il terreno
deve essere scelto con molta cura, perché non tutti i suoli si prestano a
essere dissalati; ma i contadini sono in grado di distinguere i vari suoli dal
tipo di vegetazione naturale che li ricopre. Il perimetro da coltivare deve
trovarsi di necessità nella zona che rimane scoperta a bassa marea e la diga è
destinata a evitare, o quanto meno a contenere, l’invasione da parte delle
acque salate d’alta marea, e a isolare il terreno scelto dalla mangrovia
circostante. La diga deve quindi essere più alta del livello d’alta marea; la
sua larghezza alla base dipende dalla prossimità delle acque dei marigots (il
termine marigot definisce i tratti più bassi dei letti fluviali, nei quali
l’acqua dolce si mescola con quella salata che risale con le maree e sul cui
fondo si deposita uno strato di limo denso; la vegetazione spontanea è costituita
da mangrovie e paletuvieri) e dall’ampiezza di marea. Le dighe sono interrotte
da canali di drenaggio, di solito consistenti in tronchi di palma a ventaglio
scavati al loro interno, per permettere l’evacuazione delle acque piovane a
bassa marea, e talvolta la penetrazione dell’acqua del marigot nella risaia.
La seconda operazione, che dura diversi
anni, è quella di abbattere i paletuvieri che crescono nel terreno della
risaia, strappandone tutte le radici. È un lavoro che si effettua durante le
stagioni secche, mentre quelle piovose interposte sono sfruttate per dissalare
il terreno, otturando i drenaggi in modo che le acque piovane possano lavare il
suolo e diluirne i sali.
La terza operazione consiste nel dissalare
la terra conquistata. Bisogna anzitutto formare delle aiuole, separate da fossi
stretti e profondi. Tale operazione si compie subito prima delle piogge. Se la
terra è troppo secca per poterla lavorare, si lascia talvolta penetrare l’acqua
del marigot. Durante la stagione piovosa successiva, le acque meteoriche e
dilavanti inondano a più riprese le risaie. Si evita accuratamente che le
aiuole vengano ricoperte dall’acqua, e si compie un lavaggio graduale del suolo
che dura diversi anni. Il sale penetra in profondità per infiltrazione, e
risale per evaporazione durante le stagioni secche. Perciò è necessario lavare
ripetutamente le risaie, durante le prime settimane di pioggia, anche quando
esse sono coltivate ormai da anni.
Nelle zone più esposte alle maree, la
scacchiera viene prolungata anche all’esterno della diga di protezione. Si
tratta di terreni che non vengono coltivati, ma che costituiscono un’ulteriore
difesa per la nuova risaia.
Gli sbarramenti anti‑sale,
realizzati a titolo sperimentale e sempre più diffusi, hanno due scopi:
proteggere le risaie profonde contro la risalita del fronte salino e aumentare
la superficie coltivata, guadagnando terreni nel letto maggiore dei marigots.
Per la risicoltura, le ricerche compiute dal Ministero dello Sviluppo Rurale
hanno dimostrato che il rendimento dei terreni bassi, influenzati dalle acque
marine, può essere considerevolmente accresciuto tramite la protezione anti‑sale.
Si tratta di sbarrare il letto maggiore dei marigot con una diga, costruendo
nel suo letto minore uno sbarramento a porte battenti, in grado di trattenere
le acque che scorrono verso il basso e anche di frenare la risalita delle acque
salate, tramite la chiusura delle porte.
I villaggi diola del nord sono molto
dispersi, anche quando il numero d’abitanti è relativamente elevato. Esistono
molti quartieri e sub‑quartieri, frazionati, ma manca una chiara
struttura abitativa, perché ogni gruppo abita vicino alle proprie risaie. Un
villaggio può talvolta estendersi su vari chilometri, senza un centro
chiaramente identificabile. Questa situazione è particolarmente marcata nei
villaggi dei Djougouttes. I villaggi sono invece più raggruppati là dove
l’influenza mandingo è maggiore.
La casa raggruppa sotto lo stesso tetto
la cucina, il granaio, la camera da letto, la sala comune, e talvolta la stalla
e il pollaio. Nella parte occidentale della regione, tutti questi locali fanno
parte di un’unica costruzione. A est invece, dove l’influenza dei Mandingo è
più forte, le cucine e i granai sono costruiti all’esterno, nel cortile. I
materiali da costruzione sono la terra cruda e la paglia. Solitamente un
corridoio centrale, a forma di croce, distribuisce i passaggi alle camere e a
quattro granai angolari. Le donne e gli uomini hanno generalmente camere
separate. I bambini vivono in quella della madre, per passare talvolta in
quella del padre quando hanno un’età maggiore. Nei villaggi più ad est capita,
sotto l’influsso dei costumi mandingo, che le diverse mogli dello stesso uomo
condividano la stessa camera.
Una pista
attraversa spesso i villaggi o passa nelle loro immediate vicinanze, ma gli
accessi alle concessioni familiari sono tutti disimpegnati da sentieri
pedonali. Non esiste un centro vero, e proprio di villaggio. Il bosco sacro,
nel quale si tengono le feste in, onore dei feticci, è un luogo di riunione per
soli uomini. Diverse abitazioni possono essere raggruppate intorno ad uno stesso
cortile, e una concessione può ospitare diverse famiglie.
L’abitazione tipica del Sud è di forma
rettangolare, con gli angoli arrotondati, costruita con strati sovrapposti di banco (si chiama così la tecnica di
costruzione con argilla cruda lasciata macerare e poi stipata in loco a formare
i muri, in successive assise orizzontali; tecnica detta anche pisé - oppure adobe nei paesi d’idioma spagnolo, adubo in quelli di influenza portoghese), è coperta di un tetto sporgente di paglia, sopraelevato in modo da
lasciar circolare l’aria fra il soffitto e la copertura. La distribuzione delle
camere e dei locali di servizio, è come nel Nord. Si possono trovare anche tipi
di costruzioni molto elaborati: case a più piani (Mlomp) o case a impluvio
centrale (Diola Bandial). A Mlomp si trova spesso, al centro dell’abitazione,
un locale centrale più alto degli altri (sala comune). Da un lato la cucina e,
sopra il granaio, dall’altro due camere sovrapposte. Una scala interna in banco e in legno di palma permette di
accedere al piano superiore.
A Séléki e a Enampore le differenti
stanze sono costituite da cubi di banco raggruppati
in tondo e sono coperte da un tetto circolare unico, con impluvio centrale.
Queste abitazioni, chiamate hank, che
ospitano le famiglie allargate di tipo tradizionale, sono in via di scomparsa e
costituiscono l’attrattiva culturale e turistica più importante
dell’architettura tradizionale senegalese.
I villaggi mandingo sono solitamente
installati presso i nwrigots, più raramente su terrazzi a foreste. Hanno una
dimensione media di 200 abitanti, ma comprendono tipi diversi di lotti o
«concessioni»: da quelli che raggruppano una famiglia allargata, comprendente
fino a 100 e più persone, a quelli unifamiliari, di tipo moderno.
I villaggi sono piuttosto compatti, con
viuzze strette e sinuose che serpeggiano fra i perimetri delle diverse
concessioni. Esiste sempre uno spazio centrale, generalmente una piazza
ombreggiata con un albero‑parlatorio, sotto il quale si tengono le
riunioni, un letto sopraelevato per il riposo meridiano degli uomini e una
moschea.
Le concessioni sono ben organizzate al
loro interno, con i locali allineati geometricamente e costruiti (oggi) su
piante rettangolari, con i tetti a quattro falde. Le capanne tradizionalì, a
pianta circolare, si trovano ormai solo nei villaggi più antichi. Erano fatte
in banco, con il soffitto anch’esso
intonacato in terra cruda. Oggi i muri si costruiscono ancora talvolta in banco, ma più spesso in crinting (pannelli di radici di
paletuvieri fittamente intrecciate). Cucine e granai costituiscono costruzioni
a parte, spesso sovrapposti gli uni alle altre, in modo che il fumo della
cucina allontani gli insetti voraci dalle sementi riposte nel granaio. Il
tetto, sporgente sul davanti, crea un riparo, sotto il quale la donna svolge i
lavori casalinghi.
In generale la concessione è divisa in
due parti, tramite una recinzione: da un lato il quartiere delle donne (moussoucounda), dall’altro quello degli
uomini (kecounda). Nella maggior
parte dei villaggi le mogli d’una stessa famiglia (e talvolta tutte le donne
che vivono nella stessa concessione) vivono in un’unica grande camera‑dormitorio.
Il capofamiglia ed i capi dei diversi ménages
dispongono ciascuno di una propria camera personale.
Questi brevi
cenni non pretendono certamente di offrire un quadro completo di una regione
come la Bassa Casamance, che è la più complessa e differenziata di tutto il
territorio senegalese. Le popolazioni diola, in particolare, sono da tempo
oggetto di tentativi di studio socio‑antropologici.
La presente
nota costituisce piuttosto una presentazione di alcuni problemi, nel momento
in, cui la Casamance è vista come “frontiera” del territorio africano soggetto
a desertificazione ed è quindi oggetto di investimenti della cooperazione
internazionale orientati allo sviluppo, o per meglio dire a una crescita del
prodotto commerciale di origine locale. Nella Bassa Casamance, per citare alla
rinfusa, troviamo, oggi cooperanti provenienti dagli Stati Uniti, dalla Francia,
dal Belgio, dalla Repubblica Federale di Germania, dall’Italia, dalla Cina,
dall’Austria e da molti altri paesi, spesso in competizione fra loro nel
tentativo di elaborare e realizzare progetti. E’ inevitabile che questo tipo di
presenza provochi scompensi sociali e culturali, a detrimento dell’iniziativa
autogestita dai singoli villaggi o dalle comunità locali e a favore di una
concezione mercantile dello sviluppo.
Tuttavia, il
Senegal si distingue da tempo da altri paesi « assistiti » per la capacità
della sua popolazione di auto‑ organizzarsi, di individuare i nodi cruciali
nella strategia di soddisfazione dei propri bisogni e di incanalare in questa
direzione almeno una parte degli aiuti stranieri, quella parte che è convenzionalmente
destinata ai “piccoli progetti”. Così, la cooperazione austriaca si è
intelligentemente orientata ad appoggiare nella Bassa Casamance un programma di
diffusione di presse artigianali per l’estrazione dell’olio di palma, sulla
base di un progetto di un fabbro locale, che recupera pezzi di macchine
scartati e che è in grado di decuplicare la produzione attuata con metodi
tradizionali. A Oussouye, grosso centro rurale a ovest di Ziguinchor, la
comunità locale si è organizzata da anni e indirizza l’aiuto. finanziario di
diverse fonti straniere alla costruzione, gestita in proprio, dei servizi di
primaria utilità: asilo‑nido, dispensario, centro di alloggio per turisti
costruito e condotto dagli abitanti stessi.
Dalla crescita
e dal coordinamento di queste iniziative, per ora necessariamente piccole, di
sviluppo autogestito, e da questa impostazione della cooperazione
internazionale, più rispettosa dei caratteri delle popolazioni sfavorite,
potrebbe nascere concretamente quel movimento verso, l’«ecosviluppo» al
quale, per ora, si fa riferimento quasi soltanto in linea teorica.
Certo è che la
Bassa Casamance, con il suo crogiolo di lingue e di culture, può offrire uno
dei terreni sperimentali più interessanti per tale mutamento di tendenza.
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