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IL KÔTÈBÂ (TEATRO TRADIZIONALE DEL MALI)
Forma espressiva tradizionale dei Bamanan (detti anche Bambara), uno dei gruppi etnici più importanti del Mali, il kôtèbâ occupa riveste un grande interesse per chi si occupi d'espressione teatrale, ma anche per i suoi aspetti sociali. Esso è composto di due parti distinte: una parte danzata, kôtè-nugù, il cui movimento imita la conchiglia della chiocciola, e una parte recitata, kôtè-tulòn, o nyongolòn, con una serie di corte scenette improvvisate.
Per certi aspetti, ci può ricordare la commedia dell'arte o il Guignol lionese. L'espressione è sempre comica, spesso satirica e moraleggiante. Vi appaiono i diversi tipi umani caratterizzati, come l'avaro, l'orgoglioso, l'ingenuo, il comandante, il capo-villaggio, il marabù (prete-santone), il lebbroso, il cieco, il matto, il tipo con l'ernia, ecc.
Il kôtè tôn (associazione, gruppo degli "attori") riunisce di solito tutti i giovani di un villaggio e ne garantisce la coesione sociale e culturale, che si esplica anche in altre iniziative: coltivazione di orti, costruzione di sale comunitarie, manutenzione delle strade. Alcune di queste azioni fanno guadagnare ai giovani il denaro necessario per autofinanziarsi e per partecipare, quando occorre, alle feste di battesimi, circoncisioni o matrimoni, come pure all'assistenza di membri del villaggio particolarmente bisognosi. Quella del teatro è dunque un'espressione particolare di un un gruppo ben affiatato, abituato a vivere insieme. L'espressione artistica gli offre, in un certo senso, l'occasione di una "catarsi" e di socializzare la propria presenza tra gli altri. Il ruolo di regolatore sociale del kôtèbâ è legato alla cura tradizionale delle malattie mentali: la prima regola seguita in Africa è quella di evitare l'isolamento dell'alienato e di farlo partecipare ad una serie di rituali che vedono la partecipazione stretta della famiglia e dell'intera comunità.
Questa constatazione ha spinto alcuni psichiatri africani a riprodurre in ospedale le tecniche di animazione tipiche dei gruppi teatrali, facendovi partecipare sia i malati che l'équipe medica. Nel febbraio 1982, ispirandosi all'esempio degli "psicodrammi" del dottor J. Moreno, il dottor J.P. Coudray propose l'esperienza a due attori professionisti, A. Bagayoko e S. Traoré, che accettarono di partecipare alle sedute di psicoterapia e di preparare degli sketches teatrali da proporre al gruppo.
Il primo spettacolo durò circa 45 minuti, con tre scenette sottolineate dal ritmo dei tam-tam. La partecipazione dei presenti fu notevole: dopo un iniziale atteggiamento di sfiducia, le donne si misero a cantare e a ballare con gli attori. L'esperienza ha in seguito conosciuto alti e bassi e le tecniche si sono via via modificate.
Ci asteniamo, in questo breve articolo, dall'affrontare in modo più dettagliato un tale argomento, che richiederebbe l'interesse di uno specialista e la disponibilità di una documentazione esauriente. Ci limitiamo a segnalare l'interesse che riveste il teatro tradizionale, così come l'azione di gran parte dei "guaritori" tradizionali, con i loro riti, per riequilibrare le società africane e riassorbire i fenomeni di esclusione psicologica e sociale, già presenti nelle piccole comunità di villaggio, ma oggi sempre più frequenti nell'ambiente urbano.