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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Kristina Killgrove, PhD

SONO OSSA DI MARTIRI?


I due principali obiettivi degli antropologi forensi, quando esaminano i resti d’uno scheletro umano, sono quelli d’identificare la persona defunta e d’individuarne le cause della morte. Quando le stesse tecniche sono applicate a resti umani storici (archeologia forense), troppo spesso si arriva ad affermazioni sensazionalistiche, difficili da verificare, come quando l’esumazione, nel 1991, del presidente U.S.A. Zachary Taylor spinse a ritenere che fosse stato avvelenato con l’arsenico; o quando nel 2005 uno studio pretendeva che con l’arsenico fosse stato ucciso Beethoven (ma anche che poteva non essere stato così); sino alle “scoperte”, nel 2010, che il faraone Tutankhamon era morto di malaria e che Giulio Cesare soffriva d’un tumore al cervello. In un nuovo servizio edito ad aprile 2011 da National Geographic, un gruppo di antropologi ha esaminato due scheletri trovati in un sacello d’una chiesa italiana, per cercare di dimostrare che si trattasse dei santi Crisanto e Daria, del sec. III.

Una leggenda di martiri

La leggenda che riguarda questi primi martiri cristiani parla della conversione di Crisanto alla fede, con gran dispiacere di suo padre, senatore romano. Il padre tentò di adescarlo con prostitute e poi di farlo sposare con una vergine vestale ventenne di nome Daria. Crisanto però riuscì a convertire Daria al Cristianesimo e la coppia visse in castità. La conversione di Daria provocò la sua condanna per prostituzione, ma ella fu salvata da una leonessa; in modo simile, Crisanto fu salvato dalla prigione grazie ad una miracolosa trasformazione della sua cella in un giardino. Nel 283, la coppia fu condannata a morte – secondo certi racconti, fu bruciata viva a Roma. La loro tomba divenne subito meta di pellegrinaggio e 1000 anni dopo le loro ossa furono translate alla cattedrale di Reggio Emilia, dove sono stati recentemente trovati i loro presunti scheletri.

Più di 300 ossa sono state ritrovate nella cripta, appartenenti a due persone: una di età comnpresa tra 17 e 18 anni, con le ossa lunghe ancora incompletamente sviluppate, e un’altra, che poteva essere una donna, di poco superiore a vent’anni. L’analisi del DNA ha confermato le ipotesi sul sesso di questa e ha mostrato che il teenager era un maschio. Le analisi al Carbonio 14 propongono un’epoca tra gli anni 80-340 d.C. Gli scheletri non mostrano segni di traumi fisici, ma entrambi contengono un livello molto alto di piombo, il che ha spinto i ricercatori a considerarli appartenenti ad una classe sociale piuttosto elevata.

Tra la datazione al carbonio, gli esami osteologici e l’evidenza del sesso offerta dal DNA, le caratteristiche dei resti sono coerenti con la storia di Crisanto e Daria. Sorprende il fatto che gli scheletri fossero dissotterrati a Roma diversi secoli dopo la morte, portati a centinaia di chilometri di distanza sino a Reggio Emilia, e si trovino ancora in buone condizioni dopo un altro millennio – fatto improbabile ma non impossibile. Il problema principale consiste nell’attribuzione dei due personaggi ad una “classe alta” sulla base dello studio delle ossa.

I ricercatori suggeriscono innanzitutto che l’assenza di stress fisico indichi l’appartenenza ad una classe sociale alta durante il periodo imperiale romano, che fu un’epoca violenta e pericolosa (Scobie 1986), punto di vista che si basa su descrizioni offerte da parte di individui di alto rango e su considerazioni moderne, relative alla vita in una città pre-industriale con alta densità di popolazione. Recenti studi bio-archeologici di scheletri di Roma suggeriscono però un quadro differente: molti romani di classi inferiori erano impegnati in occupazioni manuali e morivano giovani, ma pochi sembrano aver avuto una vita veramente dura (Killgrove 2010). L’assenza di segni di stress fisico sulle ossa di un teenager e di una ragazza ventenne nella Roma imperiale non indica necessariamente che dovessero appartenere a un’élite.

Piombo nelle ossa

La seconda osservazione, che condurrebbe a considerare I due di classe superiore, è l’abbondanza di piombo contenuto nelle ossa.

"Dall’analisi delle trace di elementi contenuti nelle ossa, il gruppo ha scoperto segni di avvelenamento da piombo – una caratteristica tipica della classe aristocratica, nell’antica Roma. Il metallo tossico formava le tubature del sistema di acquedotti, che raggiungeva le case dei ricchi."

Il sistema idraulico romano raggiungeva le case dei ricchi, che potevano pagare per farsi installare un rubinetto in casa e ricevere l’acqua direttamente dall’acquedotto. Tuttavia, coloro che vivevano lungo il percorso degli acquedotti, nei sobborghi, prelevavano l’acqua dai condotti abusivamente. Si stima (Taylor 2000) che i prelievi d’acqua non autorizzati ammontassero a 89 milioni di galloni d’acqua al giorno, rispetto ai 100 milioni di galloni forniti complessivamente dal sistema di acquedotti. Dunque, l’accesso all’acqua degli acquedotti non rappresentava un indice di elevato status sociale.

I tubi degli acquedotti romani erano di piombo. Tuttavia gli avvelenamenti derivanti non erano così elevati per due motivi. Innanzitutto, l’acqua fluiva nei tubi con grandi portate e ciò non consentiva lo scioglimento in essa del metallo. In secondo luogo, l’acqua conteneva parecchio calcare che si depositava lungo la superficie dei tubi, evitando il contatto diretto acqua-piombo. Sembra piuttosto che le classi elevate dovessero subire l’avvelenamento da piombo (come osservano Plinio, Historia Naturalis e Columella De re Rustica), dall’uso di utensili da cucina di piombo. C’era anche chi metteva polvere di piombo nel vino, per addolcirlo.

Tuttavia, nessuna evidenza archeologica lega in particolare l’avvelenamento di piombo alle classi sociali romane più elevate. Lo studio non è semplice, perché la presenza di piombo nel suolo può impregnare le ossa sepolte, almeno quelle più porose. E’ noto che il piombo fosse ampiamente usato in età imperiale e che esso abbia fortemente contribuito all’inquinamento dell’ambiente, in tutta Europa. Un recente studio internazionale ha mostrato, grazie all’analisi dei denti, meno porosi delle ossa, che c’erano elevate livelli di piombo nei corpi della gente comune, sia a Roma, sia nella Britannia romana (Montgomery et al. 2010). Occorre sviluppare le indagini, ma nulla dice che i livelli fossero più alti presso le classi superiori.

Rimane la domanda principale: queste sono davvero le ossa dei due santi? Potrebbero proprio esserlo. Ezio Fulcheri, paleo-patologo dell’Università di Genova che ha operato in questo studio stimolato dal National Geographic, osserva che "non appare nulla che contrasti l’ipotesi" che si tratti degli scheletri di Crisanto e Daria. Gli antropologi forensi che operano su resti di scheletri di epoca moderna possono fare confronti con registrazioni dei denti, possono procedere a ricostruzioni facciali, o confrontare il DNA con quello di possibili parenti. Tali tecniche sono precluse, a distanza di duemila anni, e così Alessandra Cinti, antropologa dell’Università di Torino, può solo affermare "possono essere loro ma [...] naturalmente non possiamo esserne sicuri."

L’evidenza a favore di Crisanto e Daria è circostanziale, non abbastanza da reggere in un tribunale, ma abbastanza convincente per il mondo dell’archeologia forense. Non potremo mai sapere se queste sono proprio le ossa dei santi, ma ce n’è abbastanza, per i credenti, per continuare i loro pellegrinaggi a Reggio Emilia, per venerare le tombe dei due santi.

Bibliografia:

* Scobie, A. 1986. Slums, sanitation, and mortality in the Roman world. Klio 68:399-433.

* Killgrove, K. 2010. Migration and mobility in Imperial Rome. PhD dissertation, Department of Anthropology, University of North Carolina at Chapel Hill.

* Montgomery, J., J. Evans, S. Chenery, V. Pashley, and K. Killgrove. 2010. "Gleaming, white and deadly": using lead to track human exposure and geographic origins in the Roman period in Britain. In: Roman diasporas: archaeological approaches to mobility and diversity in the Roman Empire, edited by H. Eckardt. Journal of Roman Archaeology Supplement 78, pp. 199-226.

* Taylor, R. 2000. Public needs and private pleasures: water distribution, the Tiber River, and the urban development of ancient Rome. Rome: L'Erma di Bretschneider.

Kristina Killgrove è professoressa aggiunta nel Dipartimento di Antropologia dell’Università del North Carolina. Si occupa di archeologia, bio-antropologia e del mondo classico con un blog su Osteons (killgrove.blogspot.com).

Fonte: http://www.pasthorizons.com/index.php/archives/05/2011/the-bones-of-martyrs#ixzz1NQSo5LSL

Pubblicato 26/05/2011 07:04:05