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CARDAMOMO, SPEZIA DA FAVOLA
La guida ci stava raccontando la leggenda del cardamomo.
"È una pianta cosí femminile, cosí timida - ci disse, indicando con la mano un cespuglio - che risponde soltanto al tocco delicato di una donna. In caso contrario non fruttifica".
Il giovane piantatore accanto alla nostra guida, sorridendo imbarazzato, intervenne:
"È vero, all'inizio di ogni stagione mandiamo le donne nei campi a toccare le piante. Non c'è nessuna ragione logica, ma si deve fare così".
Ci trovavamo nel cuore d'una fitta foresta nella regione del Kerala, in India.
La grassa terra scura era coperta di piante simili a gigli, con fusti dalle foglie lanceolate alti sino a quattro metri e fusti fioriferi carichi di capsule che spuntavano dalla base di ciascuna di esse. Accoccolate lì in mezzo, donne avvolte in sari dai vivaci colori raccoglievano una delle spezie più costose del mondo.
"Non c'è altro modo di raccogliere il cardamomo", ci spiegò la guida. "I cespugli sono talmente accostati l'uno all'altro, che nessuna macchina riuscirebbe a penetrarvi per raggiungere i piccoli semi di color rosso-marrone contenuti nei baccelli o capsule. È proprio una pianta timida".
Il cardamomo, Elettaria cardamomum per gli addetti ai lavori, appartiene alla famiglia delle zingiberacee, e continua ad apparire e sparire nella storia con la ritrosia di una vergine, Il primo documento in cui si faccia menzione di questa spezia piccante è il famoso "papiro Ebers", scoperto in Egitto e risalente al 1550 a.C., che contiene l'elenco di circa 800 droghe medicinali e la descrizione dell'uso che se ne può fare.
Le proprietà medicamentose del cardamomo sono riconosciute anche nello Yajurveda (Veda delle formule sacrificali), una delle quattro raccolte di antichi testi indiani.
Il medico indiano Sasruta il Vecchio, vissuto nel sec. IV a.C., lo prescriveva contro l'obesità, le affezioni alle vie urinarie, le emorroidi e l'itterizia (il cardamomo è tuttora usato come rimedio domestico contro i disturbi digestivi nello stato dove si produce, il Kerala).
L'impiego di questa spezia dal dolce aroma non era però limitato nell'antichità al campo della medicina.
Greci e Romani lo usavano in profumeria e pare che le donne egizie bruciassero cardamomo ed esponessero poi il corpo al suo fumo benefico e fragrante. Intorno al sec. XIII, tale spezia era molto richiesta in Occidente come conservante e come condimento.
Uscimmo dalla capitale commerciale del Kerala, Cochin, imboccando una strada che attraversa lagune scintillanti e tortuosi canali e s'inerpica su altipiani che, molto a proposito, si chiamano "Colline del Cardamomo".
La camionetta su cui viaggiavamo svoltò in una strada ottenuta diboscando un tratto di collina e salì sino alla piantagione di Arnakal, dove si coltiva il cardamomo.
Un fumo azzurro, di legna, aleggiava nell'aria.
Mentre ci avvicinavamo vedemmo falò accesi sotto lamiere, sulle quali "cuocevano" mucchi di terra.
"Non vogliamo correre rischi", ci disse David Winifred Paul, vicedirettore di Arnakal e piantatore della terza generazione.
"Prepariamo la terra per i letti di semina, il calore uccide i vermi nematodi e i funghi che potrebbero danneggiare le piantine nascenti".
I semi si piantano subito dopo la raccolta in un terreno umido, ma mai bagnato, al riparo dal sole, e vengono seguiti e protetti, difesi dalle erbacce e irrorati contro le malattie.
Trascorso un anno, le piantine sono trapiantate altrove, dopo di che vengono messe definitivamente a dimora nei campi. Il termine "campi" è in realtà improprio.
Per migliaia d'anni, sino al sec. XIX, il cardamomo è cresciuto spontaneamente.
Per raccoglierlo, gli abitanti delle pianure e delle foreste si aprivano coraggiosamente la strada attraverso la densa vegetazione che copriva le colline del Kerala e sfidavano le fiere, ma soprattutto la ancor più temibile zanzara anofele, portatrice della malaria.
Ancora oggi il cardamomo continua a resistere ad ogni tentativo di "addomesticamento", chiuso e protetto com'è dalla giungla. È la più selvatica delle spezie.
Visitammo una zona che stavano diboscando, per far posto a un nuovo campo.
Sul terreno scuro della giungla, all'ombra di altissimi sempreverdi, i lavoranti armati i lunghi e pesanti coltellacci aprivano radure nel fitto sottobosco, per creare un ambiente ideale alle delicate pianticelle, che sarebbero state messe a coltura poco prima della stagione delle piogge, coincidente con l'arrivo dei monsoni.
Se tutto procede senza intoppi, se le piogge sono puntuali, se l'ombra è perfetta, e se si riesce a tenere a bada i parassiti, il cardamomo fiorisce da aprile a maggio.
Il processo di maturazione delle capsule è graduale, da agosto a febbraio. Durante questo periodo, le raccoglitrici passano di cespuglio in cespuglio ogni 20, 40 giorni, toccano ogni spiga o stelo e staccano solo le capsule già mature.
Dopo essere stato essiccato industrialmente, il cardamomo è pronto per il mercato interno e per l'esportazione.
Nella cucina indiana questa spezia dal gusto piccante è un ingrediente tradizionale, usato a capsule intere nella preparazione dei risi e macinato in numerosissimi altri piatti.
Negli Stati Uniti e in Europa trova impiego, come blando conservante e aromatizzante, nella produzione dei cibi in scatola.
In Italia è utilizzato nell'industria dei liquori, in particolare per la preparazione di quasi tutti gli amari.
Il cardamomo è di casa in Scandinavia ormai da secoli: gli svedesi ne mettono capsule intere nel loro glogg, una bevanda calda fortemente alcolica; i danesi aromatizzano con la sua polvere i loro famosi dolci; in tutta l'area scandinava esso costituisce l'ingrediente fondamentale del Käffebrod, un tipo di pasticcino servito solitamente con il caffè.
Sono gli arabi, però, i maggiori consumatori di cardamomo indiano.
L'India produce 4000 tonnellate di cardamomo, pari al 63 per cento delle esportazioni mondiali. Il 90 per cento del prodotto indiano finisce in Medio Oriente, e Dat Pethe, un esportatore che sa il fatto suo, ce ne spiegò la ragione mostrandoci una graziosa cuccuma d'ottone munita d'un lungo becco.
"Questa è una caffettiera per fare il qahwa" ci disse.
"Quasi tutte le famiglie arabe, specie di origine beduina, ne posseggono una.
All'ospite si deve sempre offrire un qahwa: il non farlo costituirebbe una grave inosservanza delle forme dovute".
Il qahwa è un caffè al cardamomo molto forte, spesso preparato con piú cardamomo che chicchi di caffè. In alcune case delle regioni orientali e centrali dell'Arabia Saudita le proporzioni nella miscela sono cosí ripartite: 10 per cento di caffè e 90 per cento di cardamomo.
Gli arabi ritengono che il cardamomo "rinfreschi il sangue", un grosso beneficio in regioni dove la temperatura raggiunge alti livelli, e incoraggiano persino i bambini a berlo. L'uso di bere il qahwa è cosí radicato che anche gli arabi occidentalizzati si rifiutano di abbandonarlo.
Il boom del petrolio, e la conseguente ricchezza di cui godono da qualche tempo i paesi del Golfo Persico, ha avuto come effetto un aumento del consumo di cardamomo, considerato anche afrodisiaco, oltre che rinfrescante.
In un classico arabo dell'erotismo, Il giardino profumato, si fa spesso riferimento alle qualità fortificanti del cardamomo. Ma non sono solo gli arabi ad attribuirgli questi poteri. Nell'autunno dell'anno scorso ci trovavamo nel Kashmir, all'estremo opposto del tranquillo Kerala, e in un bazar tenuto da zingari trovammo uno stupendo gioiello d'argento lavorato a mano.
"È un medaglione?" chiedemmo al vecchio artigiano che sembrava il proprietario.
"No, rispose, è un eladhany. Le spose lo portano al polso".
Così dicendo, tolse il tappo al piccolo recipiente vuoto.
"Dovrebbe contenere il primo cibo che esse danno ai mariti, un cibo ristoratore".
"Dolci?" azzardammo.
"Oh, no" disse il vecchio. "Cardamomo, naturalmente".